Si dice che la morte sia una parte imprescindibile della vita stessa. Che esista un misterioso bilanciamento tra questi due opposti, intorno al quale il nostro agire si snoda in maniera quasi inconsapevole. Nonostante, infatti, l’una sopraggiunga al mancare dell’altra, la loro influenza reciproca è talmente forte da rendersi presente, in tutta la sua chiarezza, in alcune, specifiche occasioni come la Commemorazione dei Defunti del 2 novembre. Nelle culture che hanno mantenuto un legame strutturale, endemico con lo spettro dell’aldilà, anzi, questo genere di ricorrenze si tramuta in opportunità di segno positivo, in istanti che miscelano alla luttuosa riflessione una candida gioia. La Sicilia, in questo senso, non fa certo eccezione, se è vero che da noi questa giornata ha assunto la dimensione di una vera festa: la Festa dei Morti. Una celebrazione sui generis, una ciclica e devota dedicazione di sé che si ripete con l’intensità di un rito sacro a cui sarebbe quasi blasfemo sottrarsi da secoli contraddistingue i preparativi isolani a tale momento, scandito da una prassi ormai consolidata ma non per questo consumata, che affonda le proprie, secolari radici negli anfratti più reconditi dell’animo siciliano. Una constatazione che non sfuggì alla grande tradizione antropologica e folkloristica dell’isola, che a più riprese si soffermò sulla peculiare simbiosi tra il popolo della Trinacria e ciò che risiede oltre il confine del visibile. Giungendo a formulare la constatazione che la Festa dei Morti, in Sicilia, possiede fattezze quasi natalizie.

Già Pitrè, sul finire del XIX secolo, in Feste popolari siciliane, ripercorreva con tenera curiosità l’ansia dei fanciulli, in attesa paziente e meravigliata di un miracolo nella notte tra l’1 e il 2: «È già sera aspettata, e i bambini non hanno requie; pure vanno a letto ben presto speranzosi. Le mammine fanno recitar loro orazioni, preghiere o altre “cose di Dio”, e non vi mancano i paternostri tanto efficaci perché i morti non facciano orecchie da mercante». Gesti buffi e desueti, per coloro che commettessero l’errore di considerarli con occhi contemporanei: ma portatori, in realtà, di una spiritualità autentica, la cui eco è tutt’altro che estinta. Nella concezione siciliana, la Festa dei Morti non è appena una retrospettiva sui propri affetti perduti, ma è, piuttosto, uno squarcio sull’impossibile che si realizza, il coronamento di un’abitudine a sperare che non si ferma nemmeno dinanzi all’irreparabile. Nella comunicazione ritrovata tra i due mondi, si scorge in prospettiva la vera natura della morte: quella di guida per i vivi, che al suo cospetto percorrono con rispetto e consapevolezza il loro percorso, che con dedizione e coraggio completano l’opera dei propri predecessori. Non si celebra il ricordo di chi non c’è più semplicemente per ciò che hanno compiuto, ma per ciò che ancora, in una certa misura, concorrono a realizzare. Una dinamica che ben si realizza nel risveglio di quegli stessi fanciulli citati da Pitrè, protagonisti del racconto che Ignazia Iemmolo Portelli fa in Cosi ri casa nostra: «Il 2 novembre, giorno dei Morti, era una festività cara ai bambini perché era l’unica occasione dell’anno in cui tradizionalmente ricevevano dei regali. Chi credeva veramente che fossero gli avi morti a portare i regali, lasciava, la sera precedente, le scarpe nto jattaluoru. Veniva escluso dai regali chi non credeva, che equivaleva a dire che era fuori dalla dimensione onirica». Soprattutto per i meno abbienti, insomma, quella semplice ma agognata sorpresa, quell’inaudito e commovente segno di vicinanza proveniente da una dimensione irraggiungibile, rappresentava una garanzia di continuità con il passato. E una salutare fortificazione per le sfide del futuro.

Così, tra le pieghe della liturgia, si svela il senso simbolico del regalo come dono della vita che non va sprecato, come eredità e responsabilità a cui essere all’altezza ogni giorno. E non è un caso che siano proprio i bambini i protagonisti di tale Festa. Nelle loro mani risiede l’integrità e la qualità del domani. Perché, lungi dall’essere momento di passivo compianto, in Sicilia la Festa dei Morti è apprezzamento di ciò che il presente ci ha garantito. Perché, diceva qualcuno, siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita.

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