Nove giorni prima del Natale, come tutti gli anni, in Sicilia si rinnova una tradizione tanto antica quanto sentita, soprattutto per chi ha un forte legame con la religione cattolica. Il 16 dicembre, infatti, si darà il via alla cosiddetta novena di dicembre, un atto di devozione per il quale si ripetono ogni giorno delle preghiere dedicate a Dio o ai Santi.

Più nello specifico, per ricordare i nove mesi di Gesù in seno a Maria, di solito ci si rivolge proprio alla figura di Cristo, ripercorrendo il momento dell’Annunciazione, della Fuga verso l’Egitto e infine della nascita del Bambino. E anche se in questo caso l’etimologia non ha a che vedere specificatamente con questa regione, dal momento che la parola novena viene dal latino medievale novenus (e cioè proprio nono), è interessante notare come la preparazione a questa importante ricorrenza assuma nella Trinacria un volto tutto suo.

Le novene sicule, infatti, vengono generalmente recitate in dialetto, e pur avendo molti punti di contatto con quelle associate al rosario, o comunque con le formulazioni più diffuse in altre zone d’Italia, restano a modo loro singolari e difficili da riscontrare altrove. Una tradizione che viene affiancata alle musiche popolari eseguite dagli zampognari, o nannarèddi in siciliano, e al rito altrettanto diffuso della cunzàta.

Fra le novene più celebri ricordiamo Aqua, nivi e ventu forti, ma anche Alligrativi, pasturi e Bambinellu piccilillu, per non parlare di Li Tri Re e Ora veni lu pecuraru, i cui titoli sono facilmente comprensibili anche per chi non mastica molto la parlata locale. Ma non possiamo dimenticarne una in particolare, di cui riportiamo la versione originale in rima e la nostra traduzione italiana, il cui titolo – ‘A notti di Natàli – ci trasporta già in un’atmosfera di festa e di celebrazione…

È la notti di Natali, / c’è la festa principali. / Parturìu la gran Signura / ‘nda na povira manciatura / e fici a Gesù bamminèddu, / mmenzu lu voi e l’asinèddu. / E cu passava lu biniricìa: / chi beddu fruttu ca fici Maria. / Si partèru tri rignanti, / Li tri Re di l’Uriènti, / c’è la stidda ‘n cumpagnìa / e va ciccannu lu veru Missìa. / Cala l’àngilu cantànnu / e ci dici a li pastùra: / semu tutti gibilànnu, / ca nascìu lu Redentùri. / Maria lavava, Giuseppi stunnèva, / u Bamminu chiancèva, / ca u latti vuleva. / Zittu, zuttu, Bambinèddu / ca ti lavu lu panizzèddu… / Sci ca beddu stu Bammìnu, quanto è duci e quant’è finu: / na li vrazza lu vurrì, / datimmillu, matruzza mì!

«È la notte di Natale / c’è la festa principale. / Partorì la gran Signora / in una povera mangiatoia / e diede vita al Gesù bambinello / in mezzo al bue e all’asinello. / E chi passava benedetto lo ha: / che bel frutto Maria ha fatto già. / Son partiti i tre regnanti, / i tre Re dell’Oriente, / c’è la stella a far compagnia / e sta cercando il vero Messia. / Scende l’angelo cantando / e dice ai vari pastori: stiamo tutti festeggiando, / perché è nato il Redentore. / Maria lavava, Giuseppe stendeva, / e il Bambino intanto piangeva, / visto che un po’ di latte voleva. / Zitto, zitto, mio Bambino, / ché ti lavo il pancino… / Guarda che bello questo Bambino, / quanto è dolce e quanto è fino: / lo stringerei fra le braccia anch’io, / datelo a me, signore mio!».

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