C’è chi, ripercorrendo le orme di Christopher McCandless, decide di abbandonare ogni cosa per addentrarsi “Into the wild”, andando a vivere tra i ghiacci e nelle foreste dell’Alaska. Ci sono altri che, sulla scia dei Beatles, lasciano il mondo consumistico occidentale per affrontare una ricerca spirituale sulle rive del Gange. Giuseppe La Rosa l’esperienza indiana l’ha vissuta per un mese, ma alla fine ha trovato la sua terra promessa in uno spicchio di campagna dove la estrema periferia di Catania trabocca nel territorio di Misterbianco.

Qui, in un terreno del nonno materno, fra anonimi condomini e ville nascoste da alti muri, il ventottenne catanese ha piantato sei anni fa una tenda da campeggio, poi trasformata in teepee. Una tipica tenda pellerossa con una vasca da bagno come unico comfort nella quale ha vissuto per quattro anni. Finché l’anno scorso un cane, inseguendo un gatto arroccatosi in cima ai rami che reggono il telo, non l’ha squarciata. È stato così costretto a trasferirsi in una vecchia e arrugginita roulotte. «Ma appena riparerò la copertura della tenda conto di tornarci a vivere», assicura lisciandosi il pizzetto incolto.

Giuseppe La Rosa è l’ultimo hippie o il nuovo indiano metropolitano. O, più semplicemente, un sognatore. Fate voi

Giuseppe La Rosa è l’ultimo hippie o il nuovo indiano metropolitano. O, più semplicemente, un sognatore. Fate voi. Ha deciso di lasciare l’università, dov’era iscritto alla facoltà di agraria, e un lavoro ben avviato in uno studio tecnico, per vivere all’aria aperta, in campagna, fra oche e galline, lontano dai lussi, dai comfort, dalla competizione. Senza energia elettrica, senza televisore, senza frigorifero. Pochi comfort: uno scaldabagno a gas e un piccolo pannello solare per caricare il cellulare e alimentare una lampadina. Unica concessione, un furgoncino d’epoca, mezzo di trasporto voluto dalla più previdente compagna bellunese conosciuta in Liguria «quando facevo il monaco in un tempio indù».

La tenda "Tepee" di Giuseppe La Rosa
La tenda “Tepee” di Giuseppe La Rosa

«È il punto di arrivo di un cammino di regressione» spiega Giuseppe. «Sentivo l’esigenza di esplorare nuovi stili di vita. Più semplici, meno consumistici. Così un’estate mi sono preso un mese di ferie e sono partito a bordo di una Vespa 125 alla volta di Capo Nord» racconta fra lo starnazzare di un’oca ed il cinguettio dei passeri. «Quando sono rientrato, appena mi sono seduto davanti al computer, ho capito che qualcosa era cambiato in me. Soffrivo. Invece mi sentivo vivo quando stavo in tenda, campeggiando nei boschi». Abbandona il suo lavoro di tecnico agrario, saluta colleghi d’ufficio e famiglia, e riprende il suo percorso “Into the wild”. Un altro viaggio in Vespa, questa volta in compagnia di una ragazza, poi decide di fare a meno anche del mezzo motorizzato e comincia a girare la Sicilia in bicicletta. Quindi a piedi. Infine, scalzo. «È la cosa più bella al mondo, è una sensazione di libertà assoluta, ti senti parte della natura». In giro per l’Italia, senza un soldo in tasca, lavorando in fattorie in cambio di vitto e alloggio, facendo autostop, vivendo in ecovillaggi. «On the road, come un hippie, per tre anni» sorride Giuseppe. Ma è una concezione diversa del viaggio “on the road” alla Jack Kerouac. È un passaggio attraverso cui prendere in esame la propria posizione all’interno della società. E che, alla fine, porta a una sorta di rivoluzione green: il chilometro zero, il biologico, il veganesimo, una vita a contatto con la natura, la fuga da un mondo assetato di soldi. L’isolamento come rivelazione da cui ripartire per una nuova costruzione del mondo.

«Creare marranzani è un gioco, se diventasse un lavoro smetterei. La possibilità di giocare mi fa sentire ricco»

Il desiderio di crearsi una famiglia con la sua compagna, ha reso più sedentario Giuseppe. Dandogli l’occasione per approfondire la sua passione per la metallurgia applicata all’arte. In particolare, per la realizzazione di marranzani che vende tramite Facebook. Non oggetti per souvenir, ma strumenti professionali richiesti da musicisti di tutto il mondo. «Ho ordini dagli Stati Uniti e dalla Cina» rivela senza grande entusiasmo. Perché «sono lento», ride. E il troppo lavoro lo terrorizza. «Al massimo posso fare un marranzano ogni due giorni» spiega. «Creare marranzani è un gioco, se diventasse un lavoro smetterei. Non voglio essere schiavo di qualcosa o di qualcuno, altrimenti li farei male. La possibilità di giocare mi fa sentire ricco». E così si forma una lista d’attesa più lunga di quella per un esame medico specialistico. Non solo. È tale la voglia di lavorare di Giuseppe che spesso scrive ai clienti riducendo gli ordini. «Tanto aspettano anche anni pur di averli».

Marranzani
I Marranzani

Giuseppe La Rosa è l’erede autodidatta di un antico mestiere che ha soltanto altri due epigoni in Sicilia, uno a Monterosso Almo, l’altro a San Giovanni la Punta. Nella sua piccolissima officina, riparata solo da una tettoia, partendo da una barretta di ferro, titanio o rame, forgia marranzani con cura certosina. Grande attenzione ai particolari e alle lamelle (anch’esse forgiate). E, soprattutto, voglia di sperimentare. L’ultima novità è uno scacciapensieri con la lamella sdoppiata che è l’oggetto dei desideri di molti americani. Tutto realizzato a mano e al pedale della macchina di sua invenzione per limare i metalli. Senza elettricità. Poco sudore. Ma molta attenzione. «Il cliente riconosce il valore dell’oggetto, alcuni sono venuti anche per vedere come lavoro. Un ragazzo francese è rimasto qui una settimana per apprendere il mestiere».

«Non sono un caso isolato. Anzi. C’è sempre più gente che sceglie questo stile di vita»

Giuseppe La Rosa
Giuseppe La Rosa

Giuseppe non solo costruisce marranzani, li suona anche. Appassionato degli armonici e del virtuoso Tran Quang Hai, tra i protagonisti del prossimo Marranzano World Fest (a Catania dal 21 al 23 giugno), gli piacerebbe avere un gruppo di amici con i quali sperimentare sonorità. «La musica l’ascolto su YouTube, qualche video la sera prima di andare a dormire». Una vita spartana, semplice, quella di Giuseppe. «Ma non sono un caso isolato. Anzi. C’è sempre più gente che sceglie questo stile di vita» sostiene. «A Sortino, ad esempio, c’è l’ecovillaggio “Ciumara Ranni”, dove bevono l’acqua di un fiume. Anche a Catania c’è la possibilità di avere una vita sociale alternativa senza l’obbligo di frequentare la movida o bere cocktail. C’è una comunità di artisti di strada con cui incontrarsi, scambiarsi esperienze, condividere cibo, insegnanti. È come una società parallela, come il movimento hippie degli anni Sessanta negli Usa».

«Il reddito di cittadinanza? Potrei richiederlo, ma perché? Poi dovrei lavorare…».

Non vota, non crede nella politica, è contro i vaccini e la scienza, ostile alle medicine ed ai comfort («indeboliscono l’uomo»), odia il lavoro e i soldi. I prodotti dell’orto, le uova delle galline, qualche pollo e «quattro marranzani al mese sono sufficienti per campare» sostiene. «Ci hanno messi tutti in competizione fra di noi, così porteranno l’umanità all’estinzione». Giuseppe si è creato il suo mondo. Selvaggio, semplice e libero. Nel quale basta poco per vivere. «Il reddito di cittadinanza? Potrei richiederlo, ma perché? Poi dovrei lavorare…».

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