Irina Lungu al Bellini per la Traviata TV: «Canto Violetta sognando Norma»
«La prima volta che ho interpretato Violetta Valéry è stato nel 2007 all’Opera di Roma con la regia di Franco Zeffirelli, un mese dopo fu la volta della Scala». Quella storica edizione firmata dalla Cavani, con Lorin Maazel sul podio, consacrò l’allora ventiseienne Irina Lungu, a stella della lirica. Oggi il soprano russo torna a vestire i panni dell’eroina verdiana per un film-opera interamente girato all’interno della magnificente sala del Sada, fra gli stucchi e i marmi del ridotto al centro del quale campeggia la statua bronzea di Vincenzo Bellini, nel teatro catanese a lui intitolato. La produzione, realizzata da Sky e dal Teatro Massimo Bellini, verrà trasmessa in prima assoluta sabato 3 aprile alle ore 21.00, su Classica HD. A dirigere la Lungu e l’Alfredo Germont del tenore Stefan Pop sarà Fabrizio Maria Carminati, mentre la regia è affidata a Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi.
Questo progetto arriva dopo oltre un anno di fermo per il mondo dell’opera lirica. Come ha vissuto una stella del suo calibro, abituata alle grandi platee internazionali, questo periodo?
«Ho investito gli ultimi vent’anni della mia vita in una professione che improvvisamente è sparita quindi inizialmente mi sono sentita spaesata, non sapevo cos’altro avrei potuto fare. Ho sempre vissuto a ritmi artistici molto elevati, per cui rallentare è stato difficile. Sono molto contenta di questo progetto, anche se mi sono dovuta adattare alla situazione. Interpretare un personaggio per le telecamere non è proprio il mio mestiere, solitamente recito a teatro mentre per questa Traviata ho prima registrato la voce e poi, sul playback, fatto agire il personaggio. Ha richiesto un po’ di adattamento ma è stato interessante provare qualcosa di nuovo».
Come si è modificato in questi quattordici anni il suo approccio con un personaggio che ha interpretato centinaia di volte?
«È cambiato tanto, ma è inevitabile perché la voce si modifica come anche la sensibilità artistica. Negli anni i punti di forza sono diventati diversi, alcune cose mi venivano più naturali allora, altre adesso. Oggi forse per via di una maturità interpretativa che mi ha permesso di essere più drammatica, è il terzo atto il momento in cui mi sento me stessa».
In questi mesi molti teatri hanno trasmesso streaming di suoi spettacoli. Qual è la sua posizione in merito a ItsART, la piattaforma ideata dal MiBact, come Netflix della cultura?
«Non ho una posizione netta in merito: da un lato, sono molto favorevole perché in questo modo l’opera diventa fruibile a tutti soprattutto per chi non è mai entrato in un teatro, ma dall’altro credo che se ci si limita a riprendere la scena e a riproporla su uno schermo dimenticando che si tratta di due generi diversi, difficilmente lo spettacolo sarà coinvolgente. Ben vengano gli esperimenti come Traviata, che ci restituiscono un modo diverso di vedere l’opera, non più da lontano come a teatro ma con uno sguardo ravvicinato, fermo restando che il cantante, a differenze dell’attore, dovendo produrre un suono in grado di riempire senza microfono un teatro o magari dovendo coprire un range di tre ottave può assumere delle posizioni che in un primo piano possono risultare poco naturali».
Cos’è per lei il teatro?
«Stanislavskij diceva che il teatro inizia dal guardaroba, è un rito sia per gli interpreti sia per il pubblico, che quando varca quella porta metaforicamente si spoglia di tutto predisponendosi a una storia e alle emozioni che da questa scaturiranno. Amo il teatro, anche quello di prosa, sento costantemente la necessità di sedermi in sala per assistere alla rappresentazione della vita che accade sul palcoscenico. Facendo anch’io questo mestiere, capita anche a me di essere protagonista di questo piccolo miracolo nei confronti del pubblico».
A settembre ha interpretato Elvira ne I puritani a Oviedo. Qual è il suo rapporto con la musica di Bellini?
«È stata l’aria di Amina, Ah non credea mirarti, da Sonnambula interpretata da Renata Scotto che mi ha fatto innamorare del belcanto. Come una droga mi è entrata nelle vene e da quel momento non ho più potuto farne a meno. All’inizio della mia carriera mi ha anche fatto vincere tantissimi concorsi e audizioni anche se non ho mai debuttato questo ruolo. Il mio primo titolo di Bellini è stato invece I Capuleti e i Montecchi a Verona, sempre con la direzione del M° Carminati e la regia di Arnaud Bernard, quando Gavazzeni era direttore artistico dell’Arena e della Filarmonica, poi è stata la volta de I puritani, una splendida produzione di Emilio Sagi. Un ruolo futuro a cui aspiro assolutamente per sentirmi un vero soprano è però Norma».
A questo proposito il suo repertorio abbraccia Mozart, Puccini, Donizetti, Verdi e l’opera francese. Pensa di ampliarlo?
«Sto lavorando per spostarmi verso un repertorio più lirico, a giugno dovrei debuttare Nedda in Pagliacci e nel frattempo studio Simon Boccanegra, che sarà il mio primo titolo verdiano così lirico. Nel mio futuro vedo anche un Otello, oltre alle grandi regine come Norma, Anna Bolena, Maria Stuarda, un repertorio che io amo tantissimo e che oggi credo sia più adatto alla mia indole artistica».
So che lei ascolta principalmente musica classica, anche se è grazie al pop di Eros Ramazzotti che ha iniziato a conoscere l’italiano. È così?
«Sì, in realtà sì. Era il 2002, ancora vivevo in Russia e questo disco di Ramazzotti era molto in voga. A me piaceva tantissimo e pur non parlando italiano, conoscevo tutte le parole delle canzoni di cui andavo anche a cercare la traduzione. Poi sono arrivata in Italia e ho cominciato a studiare la lingua seriamente ma ho continuato ad ascoltarle, erano un bel ricordo della mia giovinezza che ancora oggi mi porto nel cuore».
È arrivata a Milano nel 2003 per frequentare l’Accademia di perfezionamento del Teatro alla Scala come allieva di Leyla Gencer e da allora la città l’ha adottata. Qual è il rapporto con i loggionisti milanesi?
«Quella dei loggionisti è una tradizione, mi piace sempre molto quando mi aspettavano fuori dopo una recita e mi raccontano qualche aneddoto dei grandi cantanti. Mi ha sempre affascinato sapere come usciva dall’ingresso degli artisti la Caballé, come si presentava la Callas o di cosa succedesse in teatro. È un mondo che non c’è più e che loro in qualche modo tramandano».
Oggi le dive della lirica sono meno patinate, lei stessa non ha paura di mostrarsi al naturale sui social network.
«Il concetto di diva si è trasformato come credo anche la comunicazione. Se sento di volere raccontare qualcosa ai miei follower lo faccio, altrimenti non mi pongo il problema di dover apparire necessariamente sui social. Io sono una persona molto curiosa, oltre al mio lavoro ho anche tanti interessi nella vita: sono appassionata di arte, di letteratura, di cucina. In questo periodo mi sono dedicata molto a mio figlio che ha undici anni e come molti ragazzini della sua età fa didattica a distanza, ho anche perfezionato alcuni miei piatti cimentandomi nei lievitati. Certo, mi è mancato molto l’asse principale della mia vita ed è stato anche pesante, ma ho cercato nuovi stimoli anche se non vedo l’ora di tornare a quello che so fare meglio: l’opera».