Italia e Polonia, due Paesi situati quasi ai poli opposti dell’Europa, diversi etnicamente, linguisticamente, culturalmente. Anche i paesaggi che offrono alla vista sembrano appartenere a continenti diversi, persino il colore del mare muta da un luogo all’altro. Tuttavia, un legame profondo unisce i popoli che li abitano, un amore reciproco paragonabile ad una parentela spirituale. Testimonianza di questa vicinanza sono i rispettivi inni nazionali che all’altro Paese fanno esplicito riferimento: «Il sangue d’Italia e il sangue Polacco bevè col Cosacco, ma il cor le bruciò», recita l’Inno di Mameli mentre, in Polonia, si canta «Marsz, marsz, Dąbrowski, z ziemi włoskiej do Polski» (Marcia, marcia Dąbrowski dalla terra italiana alla Polonia).

Ma le assonanze non si fermano qui. Ad esempio, in pochi oggi ricordano ancora il nome del colonnello garibaldino Francesco Nullo il quale, insieme ad altri volontari – anche siciliani – combatté contro i russi nella Rivolta di Gennaio del 1863 venendo in soccorso dei ribelli polacchi. Nullo, che morì eroicamente nella battaglia di Krzykawka, venne sepolto a Olkusz. Fu poi onorato con una statua e, nel 1933, con la Croce e Medaglia dell’Indipendenza. Assieme a quella di Nullo in Polonia, degna di nota è la storia di un certo Antonio Calandro, un garibaldino siciliano protagonista del romanzo “La sciabola spezzata” dello scrittore Vito Catalano, nipote di Leonardo Sciascia. «Sono siciliano» dice Calandro, «Dopo lo sbarco a Marsala e la presa di Palermo, sono partito dal mio paese, che si trova nella Sicilia meridionale, ho raggiunto Palermo e mi sono arruolato con le truppe di Garibaldi partecipando alla battaglia di Milazzo. C’erano anche stranieri con noi, e fra loro dei polacchi, che si distinguevano per coraggio e abilità». Ferito, immobilizzato per mesi all’ospedale, e poi deluso a causa degli ideali traditi e dei continui abusi e soprusi, confessa: «Ho sognato la rivoluzione in Sicilia e in Italia, ma il sogno non è divenuto realtà». Decide comunque di partire e aggiungersi alla lotta per l’indipendenza di un «Paese lontano», non suo, la Polonia. Ma, nella finzione narrativa, Catalano inserisce anche personaggi realmente esistiti come il generale Marian Langiewicz. Anche lui fu uno dei «Mille» che nel 1860 accompagnò Garibaldi in Sicilia per poi divenire docente alla Scuola militare polacca a Cuneo e, successivamente, comandante della Rivolta di Gennaio nel distretto della Santacroce nel Sud della Polonia.

Che la vicinanza tra i due popoli si sia spesso manifestata con il concreto sacrificio nella lotta per l’indipendenza dall’invasore straniero è, peraltro, ben documentata anche dagli storici. Lo rileva, ad esempio, Krystyna Jaworska, docente di Letteratura Polacca all’Università di Torino, nella premessa alla mostra «Per la nostra e la vostra libertà. I polacchi nel Risorgimento italiano», organizzata nel 2012 per commemorare il Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, «Il contributo dei volontari polacchi all’Unità d’Italia seppure non irrilevante (complessivamente si parla di circa mille uomini), era di carattere soprattutto simbolico. È testimonianza di solidarietà e di ideali condivisi. I popoli erano “fratelli”, le nazioni “sorelle”». Ad ulteriore conferma delle sue parole, un disegno esposto nella stessa occasione che ritrae Giuseppe Garibaldi insieme ad un altro generale polacco, Ludwik Mierosławski. Creatore della Società Democratica Polacca [Towarzystwo Demokratyczne Polskie] e, nel 1846, capo della Rivolta di Wielkoposka, nel 1860 Mierosławski fu designato proprio da Garibaldi come comandante della Legione Internazionale a Napoli, e fu anche docente della Scuola militare a Genova e primo comandante della Rivolta di Gennaio.

Sebbene sia storicamente noto che Langiewicz e Mierosławski furono aspramente avversari politici (Langiewicz liberale-conservatore, Mierosławski democratico di sinistra), è significativo che entrambi abbiano trovato un terreno comune nella simpatia per la causa italiana. Una lotta in cui la vittoria arrise agli italiani prima che a noi polacchi e che, secondo storici come Jaworska, non si tradusse immediatamente in un ampio supporto del nascente Stato italiano ad un popolo amico. E se le ragioni citate dalla storica chiamano in causa interessi politici, rimane l’affinità tra due popoli che già allora condividevano condividevano gli stessi sogni e ideali, quelli di unire e di liberare, di far nascere una società moderna, basata sull’uguaglianza e sulla parità di tutti i cittadini, contro i regimi, occupazioni imperiali e oppressione dei più deboli. Gli idealisti si trovarono su tutti i lati della scena politica, in entrambi i Paesi, per la loro solidarietà e altruismo, contribuendo notevolmente alla prima moderna comunità europea.

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