È una delle storie d’amore più struggenti della mitologia greca, quella tra il dio Apollo e il principe spartano Giacinto. Una storia d’amore interrotta dalla gelosia del dio del vento Zefiro, anch’esso innamorato del giovane, che in occasione di una partita di lancio del disco deviò quest’ultimo, lanciato da Apollo, colpendo a morte l’amato. Giacinto morì tra le sue braccia, e dalla sua testa cadde una goccia di sangue che fece sbocciare un bellissimo fiore, da Apollo chiamato Giacinto per ricordare quell’amore perduto, rinato sotto un’altra forma. Il giacinto è anche il simbolo scelto da Luigi Tabita per dare il nome al festival di cui è direttore artistico: il Giacinto festival – nature LGBT+, la cui IX edizione si è appena conclusa nella città di Noto, che lo ospita ogni anno dal 2015. «Il festival – spiega Tabita – rappresenta un momento di riflessione e di rivendicazione dei diritti della comunità LGBT+ e si svolge di proposito a conclusione dei Pride, perché pone l’accento su cosa sta accadendo in tema di diritti sia nel nostro paese che nel resto del mondo, affinché ciò possa aiutare a farci capire come quello che abbiamo conquistato non è mai definitivo e bisogna tenere alta l’attenzione. Non a caso, il filo conduttore di quest’anno è stato lo spazio sociale, ovvero la rivendicazione del nostro diritto di esistere come individui e come comunità».

Luigi Tabita

INFORMAZIONE TRASVERSALE. L’obiettivo principale del Giacinto festival è fare informazione. E per farlo non si rivolge solo ed esclusivamente alla comunità LGBTQIA+, che si muove in prima persona attraverso manifestazioni e movimenti, e combatte ogni giorno per la tutela dei propri diritti, ma anche, e soprattutto, a chi non ne fa parte, cercando di coinvolgere le fasce d’età più grandi, perché più disinformate o più disinteressate: «Giacinto nasce dalla voglia di creare un momento di incontro, uno spazio di riflessione che potesse servire a tutti e tutte. Cerco di rivolgermi, infatti, non solo alla comunità LGBTQIA+, ma soprattutto alle persone che abitano questi luoghi. Il festival è pensato per dare la possibilità di informarsi, di avere gli strumenti per comprendere che i diritti devono esistere per tutti. Dobbiamo essere in grado di coinvolgere quella fascia di persone più grandi, perché è ancora quella maggiormente disinformata, e la disinformazione porta ad avere paura. L’informazione per noi dev’essere la chiave di lettura per scardinare ogni tipo di pregiudizio. Alcuni politicanti, invece, fanno leva su queste paure, accanendosi spesso contro le famiglie “arcobaleno”».

TRA TABÙ E IPOCRISIE. Durante l’edizione che si è da poco conclusa, uno spazio di riflessione è stato aperto anche sull’acceso dibattito che riguarda genitorialità e famiglia, soprattutto nelle aule politiche. L’intervento, dal titolo Senza paura: l’Italia e i diritti civili, ha visto come protagonisti l’onorevole Alessandro Zan – promotore del DDL Zan, la proposta di legge che prevedeva un inasprimento delle pene contro le discriminazioni di genere, orientamento sessuale e disabilità, affossato in parlamento nell’ottobre 2021 – l’attrice Barbara Foria, il presidente di Arcigay Siracusa Armando Caravini e il presidente di Stonewall GLBT Alessandro Bottaro. L’intervento ha animato un dibattito su alcuni dei recenti avvenimenti in tema di diritti civili, tra cui la proposta di legge per rendere la Gestazione per altri reato universale, o la decisione da parte della procura di Padova di impugnare 33 atti di nascita dal 2017 ad oggi, tutti di famiglie omogenitoriali. «Quello che sta accadendo – afferma Tabita – è molto preoccupante. È complicato anche solo parlare del tema della genitorialità, che è molto pregno di cattolicesimo nel nostro paese. C’è molta ipocrisia nella rappresentazione della famiglia “tradizionale”, ma in realtà la famiglia è solo dove c’è amore, avere un padre e una madre non garantisce la serenità di figli e figlie».

Un momento del dibattito “Senza paura: l’Italia e i diritti civili”

DIALOGO E LIBERTÀ. In questo senso, secondo Tabita diventa necessario che queste battaglie non siano solo della comunità LGBTQIA+, ma siano di tutti. E per chi non fa parte della comunità ma vuole contribuire con la propria voce, «è importante partecipare alle iniziative e mostrare la propria vicinanza alla comunità, ma è ancora più importante raccontare queste esperienze alle persone che ci stanno attorno, ai nostri genitori e nonni, che rappresentano ancora chi ci governa, in modo da creare un dialogo con una generazione diversa, renderli consapevoli, perché questa lotta diventi di tutti e tutte. Hegel diceva “possiamo essere liberi solo se tutti lo sono”».

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