Non dimenticherò mai la prima volta che vidi la mia firma su un quotidiano nazionale. Lo acquistai in edicola e iniziai a sfogliarlo con cura, per non sgualcirne le pagine. Il solo fatto che una storia stesse su un giornale la rendeva vera, autentica, degna di attenzione. Se qualcuno mi avesse detto che quel mondo a cui mi affacciavo non solo sarebbe entrato in crisi, ma avrebbe perso il suo valore agli occhi delle generazioni che sarebbero venute; se pure avessi incontrato il me stesso venuto dal futuro a dirmi che in seguito anziché fare il reporter mi sarei barcamenato tra SEO e intelligenza artificiale, avrei stentato a crederci. Eppure è andata più o meno così. Ed è stato meno peggio del previsto. Immaginare un futuro per l’editoria tradizionale appare oggi quanto mai difficoltoso. Il crollo verticale delle vendite dei quotidiani, la crescente domanda di prodotti informativi sempre più personalizzati, la consapevolezza che i margini di guadagno sul digitale siano molto diversi da quelli della carta stampata, ci costringono a ripensare modelli fino a pochi anni fa considerati sostenibili. La figura stessa del giornalista è cambiata: egli non è più tanto il depositario dell’informazione, ma piuttosto colui che deve aiutare il lettore a interpretare gli eventi di cui è già a conoscenza.

Bisogna partire dalla considerazione che alcune generazioni non sono disposte a investire in qualcosa che non riconoscono come esclusivo e valido

LA RETE TRA PERICOLI E OPPORTUNITÀ. L’ambiente del web, nei confronti dell’informazione, è tanto accessibile quanto spietato: sebbene da un lato esso sembri premiare la quantità (la posizione da monopolista di Google, in questo senso, impone milioni di clic per racimolare pochi euro), dall’altro la sua memoria, che ci consente di recuperare qualsiasi articolo pubblicato, offre grandissime opportunità. Un buon lavoro rimarrà impresso per decenni, forse per sempre, così come lo farà un vistoso scivolone o un contenuto realizzato in malafede. Giocare una partita di questo tipo non può avere senso se non provando a battere strade inesplorate, coniugando il buono del passato con la freschezza del nuovo, accettando una sfida che ci impone di abbandonare a volte anche ciò che abbiamo amato e di imparare regole diverse. Bisogna partire dalla considerazione che alcune generazioni non sono disposte a investire in qualcosa che non riconoscono come esclusivo e valido. Il crescente successo di pagine Instagram come Will (457mila follower e 1,2 milioni di euro di investimenti raccolti in pochi mesi) dovrebbe farci riflettere sul desiderio di un’informazione diversa, perlomeno nel linguaggio e nel canale utilizzato. Perché al di là dell’autorevolezza del progetto in sé (dubbia se pensiamo che una delle fondatrici, la blogger Imen Jane, abbia mentito ai suoi fan inventandosi una laurea mai conseguita) è pur sempre vero che i contenuti proposti si focalizzano su tematiche come la politica estera e l’economia, che difficilmente spingono i giovani ad acquistare un quotidiano. E che dire del successo di progetti di fact checking come Pagella Politica e del suo nuovo prodotto, Facta, che puntano tutto sull’attendibilità e la verifica delle fonti? Il punto è che nel 2020 il giornalismo non è in crisi. A esserlo è un certo modo di fare informazione.

La copertina del Report

SAREMO SOSTITUITI DAI ROBOT? Negli ultimi mesi, una delle notizie che ha destato più scalpore nel settore dei media è stata il licenziamento di 77 giornalisti impiegati nella gestione del portale di MSN e News di Microsoft. A sostituirli saranno dei robot. Lo scenario, incubo di molti colleghi e sogno proibito di certi editori, è in realtà meno tragico di quanto sembri se consideriamo che le due piattaforme sono meri aggregatori di news. Se il lavoro di un giornalista deve ridursi a selezionare le notizie più “accattivanti” (magari utilizzando dei tool di analisi che usano machine learning) non è forse naturale che a un certo punto venga sostituito direttamente da una IA? Da dove ripartire quindi, se non da una severa autocritica? Secondo il Reuters Report 2020, in Italia la fiducia dei lettori nelle notizie dei giornali è scesa di 11 punti rispetto all’anno precedente, attestandosi su un imbarazzante 29%, dato che ci pone al trentesimo posto su 40 paesi analizzati. Recuperare la fiducia dei lettori è possibile, a patto di adottare prospettive nuove. Ma quali?

Come ha scritto Antonio Dini sul Foglio, «ci siamo concentrati sulla parte sbagliata della locuzione “lettori-pirata”. Il punto centrale non è che rubano, ma che vogliono leggere i giornali»

LA LEZIONE DI STEVE JOBS. Recentemente, alcuni editori hanno salutato con un sospiro di sollievo il ritorno dei giornali nei tavolini di (alcuni) bar ed esercizi commerciali, consapevoli che la diffusione dei loro prodotti passi anche da un’utenza che non compra il giornale, ma vuole leggerlo, utenza che peraltro viene stimata e venduta agli inserzionisti pubblicitari. Eppure, gli stessi editori hanno lottato strenuamente per la (lecita) chiusura dei canali Telegram, dove sono stati distribuiti (illegalmente) i loro giornali a un pubblico di almeno 500mila persone. La Federazione Italiana Editori Giornali ha stimato in ben 250 milioni di euro annui la perdita di fatturato derivante da questo contrabbando, anche se viene da chiedersi quanti di quei lettori stiano ora effettivamente correndo in edicola a comprare il giornale. Come ha scritto Antonio Dini sul Foglio, «ci siamo concentrati sulla parte sbagliata della locuzione “lettori-pirata”. Il punto centrale non è che rubano, ma che vogliono leggere i giornali». Allora non può che venirci in mente la lezione di Steve Jobs, che nella giungla della musica pirata seppe prendere per mano quel pubblico e portarlo sulla via della legalità, offrendogli un sistema semplice, efficace e a pagamento. Un modello simile è applicabile al giornalismo? Qualcosa ha già fatto capolino sui nostri telefonini, come l’app Readly che offre un abbonamento a settimanali e mensili a meno di 10 euro al mese, o Audm, che per la stessa cifra offre articoli di opinione da testate come il NY Times, il New Yorker e Rolling Stone letti da attori professionisti mentre il testo scorre sullo sfondo. Certo, non si tratta di soluzioni definitive, e probabilmente nemmeno della chiave di volta per rilanciare l’editoria tradizionale, ma rappresentano segnali di cambiamento A noi resta solo da scegliere se subirlo o interpretarlo.


Il testo che avete letto è un estratto dalla postfazione dell’ebook “Mappa dell’informazione in Sicilia. Report 2020:  I Quotidiani” curato da Francesca Rita Privitera per la Fondazione Domenico Sanfilippo editore

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