La chiamano foodification ed è la tendenza dei luoghi di ristorazione a occupare gli spazi deputati un tempo al lavoro. Se la gentrification descrive l’arrivo di stranieri, creativi e bohémien nei quartieri popolari, la foodification è il fenomeno per cui il cibo conquista i territori in ogni angolo. Dove c’era una concessionaria di auto oggi sorge un supermercato. La vecchia tonnara? Ora è una pizzeria da mille coperti. Il fenomeno è globale: il cibo tira più della manifattura, della pesca, dell’edilizia.

Le vie delle città diventano palcoscenici per improbabili spaghetti alla Norma vegan, parmigiana di alghe, arancine/i d’ogni specie e tipo, cannolo destrutturato, gelato alla biochetasi

A Catania bar e pub “assediano” il Teatro Bellini e anche la libreria Tertulia ha ceduto il passo a kebab e salumerie, mentre via Santa Filomena è diventata palcoscenico per improbabili spaghetti alla Norma vegan, parmigiana di alghe, arancine/i d’ogni specie e tipo, cannolo destrutturato, gelato alla biochetasi. A Siracusa taglieri e bicchieri di Nero d’Avola vengono serviti dove una volta una antica tipografia stampava libri e settimanali; il laboratorio del restauratore di mobili d’antiquariato è adesso un lounge bar. E che dire di via Cavour, l’ex via dei negozi di calzature a Ortigia, dove oggi si è costretti a camminare zigzagando tra i tavolini di pub e trattorie. E così a Scicli in via Mormino Penna, la strada del commissariato del Montalbano televisivo, dove il caffè letterario Brancati è stato sostituito da una gelateria e scacce imbottite di broccoletti si servono tutto l’anno nei bassi che ospitavano una volta le iniziative culturali dell’Opera Pia Carpentieri. A Ragusa l’infilata di facciate barocche che si profila sulla destra di via Bocchieri, dando le spalle alla cupola del duomo, non identifica più la storica Ibla, ma il quartier generale dello chef pluristellato Ciccio Sultano, con i Cantieri, il ristorante, le suites, la cantina e gli alloggi per il personale, che occupano il Palazzo La Rocca, lo stesso che fece da set al film Divorzio all’italiana con Marcello Mastroianni. E ancora il porticciolo di Marzamemi trasformato in un suk, fra cuoppi di frittura di pesce surgelato e alghe in putrefazione.

Ci eravamo inalberati per tenere lontano dai nostri centri storici il diavolo McDonald’s con le sue polpette di carne trita, spalanchiamo le porte a sushi e zenzero

Già, perché nelle “città turistiche” la qualità dell’offerta enogastronomica va sempre più peggiorando. Se fino a vent’anni fa era impossibile mangiare male a Roma, Firenze, Ragusa e Catania, oggi è difficilissimo mangiare bene. Tant’è che per trovare buon cibo, legato al territorio, bisogna andare in periferia: nei paesini etnei per i catanesi, a Palazzolo Acreide per i siracusani, sulle Madonie per i palermitani.
Nel terzo millennio il cibo divora tutto. Olezzi misti di frittura e brace s’insinuano e avvolgono piazze e vie dei centri storici, lasciando uno strascico di bottiglie di birra, bicchieri di plastica e resti di cibo che, di notte, diventeranno banchetto per topi e blatte. Il passato, la storia, vengono offesi, vilipesi. Il food, come The Blob, quella sorta di creatura informe e gelatinosa dell’omonimo film del 1958 diretto da Irvin S. Yeaworth Jr., aggredisce, avvolge e fagocita ogni cosa. La vecchia sala d’essai diventa un ristopub, l’antica macelleria lascia il posto a un negozio di souvenir, anche il vecchio fruttivendolo e il fabbro ferraio cedono all’invasione di frittelle di mucco cinese. Ci eravamo inalberati per tenere lontano dai nostri centri storici il diavolo McDonald’s con le sue polpette di carne trita, spalanchiamo le porte a sushi e zenzero.

La concentrazione in un quartiere e l’aumento continuo e incontrollato di locali e Airbnb rischiano di provocare l’espulsione dei vecchi residenti, che non trovano più i servizi essenziali, e l’innalzamento degli affitti come accaduto nelle “capitali” del turismo

Il cibo da nutrimento diventa prodotto, status symbol e protagonista di gentrification. Dove le vecchie insegne sono state “mangiate” dall’invasione dei ristoranti e bar, è maggiore la richiesta di appartamenti affittati online. «Sembra esserci un processo a spirale, di tipo circolare e cumulativo, in virtù del quale la domanda di Airbnb è più alta dove è più forte la presenza di esercizi di somministrazione. Che alimenta a sua volta la crescita degli investimenti nel settore del cibo. Ciò contribuisce ad allargare il divario fra le diverse aree del territorio urbano creando un modello di città diseguale», è la tesi di Stefano Valerio, ricercatore della Fondazione per l’Ambiente “Teobaldo Fenoglio”. La concentrazione in un quartiere e l’aumento continuo e incontrollato di locali e Airbnb rischiano di provocare l’espulsione dei vecchi residenti, che non trovano più i servizi essenziali, e l’innalzamento degli affitti come accaduto nelle “capitali” del turismo. Il centro storico di Scicli sintetizza questo fenomeno in una parola: vendesi. Passeggiando attorno a piazza Italia s’incontra ovunque. E quando non c’è si trova un b&b.

La decantata “sicilianità” torna a essere quel vituperato folklore fatto di luoghi comuni, di Ciuri ciuri e Vitti ‘na crozza (confusi con Funiculì funiculà), coppole nere e pon pon rossi

È una nuova forma di colonialismo, più sottile e subdola. Che minaccia l’identità culturale delle città. La decantata “sicilianità” torna a essere quel vituperato folklore fatto di luoghi comuni, di Ciuri ciuri e Vitti ‘na crozza (confusi con Funiculì funiculà), coppole nere e pon pon rossi, come accaduto con Devotion: Racconto di un amore per la Sicilia e le sue eccellenze che Dolce & Gabbana hanno portato in giro per l’Isola, con il sostegno della Regione (579.500,00 euro). Manifestazione che doveva promuovere l’immagine della Sicilia all’estero, ma che (per fortuna, commentiamo noi) non ha mai superato lo Stretto. È lo specchio della globalizzazione che fagocita il glocal. È grave che a sostenerlo sia una istituzione pubblica come la Regione siciliana. Le città turistiche si piegano ai modelli imposti dall’industria del turismo, che omologano tutto e fanno sì che il visitatore straniero trovi le sue comodità ovunque si trovi.

Quella di oggi è l’Italia del Papeete. Torsi nudi e rutto libero. S’invoca il controllo dell’Ue sul fenomeno migratorio, ma nessuno pensa a mettere i paletti a un turismo senza regole

Perfino la paura del contagio non è riuscita a frenare la maleducazione. Il Covid-19 avrebbe dovuto insegnare il rispetto e le buone maniere, invece la mascherina come la pulizia delle mani sono stati un optional. Non solo non si è mantenuto il distanziamento, ma il popolo del selfie è arrivato a distendersi al fianco della Paolina Borghese di Canova o si è messo a cavalcioni sulla statua di Andrea Camilleri, piazzata nella centrale via Atenea di Agrigento. Maleducazione alimentata dalle stesse istituzioni che vanno a caccia dell’“uomo nero”, invece di pensare al decoro del proprio Paese. È l’Italia del Papeete. Torsi nudi e rutto libero. S’invoca il controllo dell’Ue sul fenomeno migratorio, ma nessuno pensa a mettere i paletti a un turismo senza regole, a multare i pirati ambientali che lanciano i sacchetti dell’immondizia lungo le strade, a far rispettare i cartelli “non calpestare l’aiuola”, a far viaggiare serenamente su strade e ferrovie, a liberare dalle erbacce i parchi archeologici, a favorire una fruizione moderna dei musei, a difendere l’identità siciliana.

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