Espressioni come fari u’sfunnaperi o rompere i cabbasisi sono ormai entrate nell’immaginario comune, siciliano e non. E quando si verifica un fatto del genere, cioè il radicamento del fenomeno letterario nella vita di tutti i giorni, significa che il personaggio che le pronuncia ha saputo toccare le corde di una parte di noi in modo dirompente. E indubbiamente nessuno, in tempi recenti, è riuscito in questa impresa più del commissario Montalbano, a tal punto che perfino i non estimatori ne conoscono qualche tratto saliente. Ma qual è il segreto di una tale capacità di coinvolgimento? Questa empatia, poi, già notevole di suo, raggiunge livelli straordinari per noi siciliani che lo leggiamo o lo guardiamo in televisione. Se una parte di questa empatia è sicuramente dovuta ai luoghi caratteristici o allo spiccato siciliano di alcuni frammenti narrativi, un’altra consistente parte dipende da altri fattori, che noi abbiamo già chiamato per nome. Il commissario più famoso d’Italia, insomma, è affetto da Sicilitudine. Ma in che termini?

Partiamo dal mare. Come tutti i siciliani, Montalbano ha con questo elemento un rapporto ambivalente: è, infatti, sia la distesa infinita che spesso gli consente, tramite la classica nuotata, di liberarsi dalle scorie e dalla negatività di un mestiere difficile, sia la libertà di dedicarsi un po’ di tempo. Rovesciando la medaglia, però, il commissario ci fa sapere, per esempio ne La vampa d’agosto, di soffrire di mal di mare e di non sopportare le barche per questa ragione; il mare, inoltre, come avviene ne L’età del dubbio, è l’inquietante forza che può restituire cadaveri galleggianti spogliati di un’identità che starà a lui ricostruire. Montalbano prova, dunque, quel secolare sentimento misto di attrazione e terrore verso l’acqua marina: il primo derivante dalla sua natura di abitante di un’isola che lo porta a considerarlo quasi un habitat naturale; il secondo derivante dalla storia siciliana, che dal mare ha sempre visto giungere nuovi invasori pronti ad imporre il loro dominio.
Altra spia interessante è l’alternanza di attitudine mostrata dal commissario, che passa da momenti di estrema brillantezza umoristica e loquacità a momenti di raccoglimento interiore, di malinconia silenziosa, riflessiva, come nelle celebri scene sulla verandina, in cui si lascia andare a lunghe e profonde fasi di osservazione dell’orizzonte. Sono i classici momenti da siciliano, in cui il peso di una condizione esistenziale tutta particolare fa sentire i suoi effetti, in cui serve riordinare i pensieri magmatici verso l’attesa soluzione della matassa. Lo stesso silenzio che, in apparenza più banale, ritroviamo nelle scene dei pasti, che assumono quasi una connotazione sacra.

La tipica scena dello sguardo di Montalbano dalla verandina

La forza di Montalbano, poi, diciamocelo, sta proprio nella sua normalità: non è un eroe dai poteri strabilianti, non è uno stravagante genio socialmente disadattato o un superbo superuomo. Montalbano è il commissario delle persone di ogni giorno, fatalmente attratto dalle donne, a volte poco paziente, a volte persino sconfitto per tornare a citare La vampa d’agosto. È un personaggio che, per mezzo dell’autore che lo ha concepito, non ha paura di mostrare i propri difetti, che poi sono i lati più schiettamente umani. Accanto a questi, però, il commissario somma un intuito, anche qui, tipicamente siciliano, che gli permette, il più delle volte, di chiarire le dinamiche più ingarbugliate della realtà che lo circonda. Sciascia diceva che la Sicilia è difficile da governare perché difficile da capire. Ebbene, l’amico Camilleri, che come molti altri grandi scrittori siciliani continua a scrivere della sua terra pur essendo lontano, come un fotografo che deve allontanare l’obbiettivo per evitare l’immagine sfocata, sembra aver appreso bene questa lezione. Il commissario vive, dall’alto della sua professione, le difficoltà di manovra che sono quelle che incontriamo noi quotidianamente. E per questo ci è tremendamente familiare.

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