«A volte spero che non lo scopra mai nessuno, così potrò tagliarmi i capelli, parlare in francese, andarmene. A volte penso che lo sappiano tutti, dalla paura e dal bisogno, rimesso, nudo, quasi indecente, d’intimità, d’intensità, di conforto».

È a un fatto inenarrabile che si riferisce qui Nadia, la protagonista di un romanzo che sta da poche settimane negli scaffali delle librerie. Ma a questo ci arriviamo dopo, perché è meglio partire proprio dal fatto, o meglio: da come il fatto porta a sentirsi questo personaggio. La rende inquieta, fragile, spesso sfuggente. Rompe il patto di fiducia che aveva scelto di costruire con gli uomini intorno a sé, e la lascia sola ad affrontarne le conseguenze.

Perché è davanti a un abuso sessuale che ci troviamo catapultati, uno di quelli subdoli e agghiaccianti che non ci lasciano la possibilità di capire. La raggirano, la adulano, approfittano della sua ingenuità – e poi colpiscono alle spalle, arrivando dritti al punto in un solo attimo, quando ormai è troppo tardi per tirarsi indietro, per dire no, per proteggersi.

Lo sa bene la ragazzina di quattordici anni che, ne La gioia avvenire di Stella Poli, pubblicato da Mondadori, non coglie i pericoli nascosti dietro il corteggiamento di un amico del padre, e si lascia guidare nella tana del lupo mentre si sente al tempo stesso vittima e complice di quello che ha subito, responsabile e oppressa da una violenza più grande di sé.

Ora. Non è semplice raccontare una storia di questa natura, specialmente poi se si è al proprio esordio nel mondo della narrativa e se la controparte della vicenda è a sua volta una donna, anzi, di più: una psicoterapeuta di nome Sara, che si ritrova ad ascoltare Nadia e a chiedersi se esista ancora la possibilità per lei di ottenere giustizia, nonostante il tempo che è trascorso e certe resistenze sociali a occuparsi di casi analoghi.

Eppure, affrontando le difficoltà del mondo in cui è incastrata, Sara va avanti nel sentiero che le sembra di avere intravisto. Proprio come fa l’autrice, che sceglie di percorrere il cammino di un romanzo di formazione e di riscatto insieme, affrontando un tema scottante e spesso tabù mentre ci prega di ascoltare la sua voce, di imparare a conoscerla non in quanto scrittrice tout court, bensì nel suo ruolo di donna, di giovane intellettuale, di campanello d’allarme rispetto a episodi a cui potremmo assistere in prima persona da un giorno all’altro.

Qui l’esperienza della violazione è sublimata dalla letteratura, è un resoconto di fantasia, è uno spunto di riflessione. Ma serve proprio a farci arrivare là fuori, nel mondo, con una coscienza più affinata, più affilata, più consapevole. Serve a educarci, senza volerlo fare di proposito. A ispirarci, a tratti perfino a provocarci, chiedendoci di entrare temporaneamente nei panni di una figura contraddittoria e fragile come Nadia.

Io ci ho provato, e credo che sia servito. Non so dire bene a cosa, o come, so soltanto che quando ho letto l’epilogo ero già una persona diversa da quella che aveva preso in mano il libro sbirciando la copertina. È per questo che i libri ti servono, d’altronde. È per questo che i libri ti segnano. Perché sanno come portarti verso livelli di consapevolezza nuovi senza che tu debba conoscere in anticipo la strada: sono loro a guidarti, a costringerti a perderti, e poi a consigliarti un modo per ritrovare la via.

Stella Poli, a trentatré anni, è già una maestra nell’arte di orientarsi. O di fare orientare noi, se scegliamo di seguirla. È un viaggio tutto sommato breve, ma che come ogni viaggio che si rispetti ci ricorda fino a che punto avesse ragione Roberto Bolaño, quando scriveva che «Ogni cento metri il mondo cambia» – oppure ogni cento pagine, come in questo caso.

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