La musica dell’universo: così è possibile ascoltare buchi neri, epidemie e gravità
Che la musica possa accompagnare o addirittura esprimere anche immagini, stati d’animo, atmosfere particolari, è cosa certamente nota. Non parliamo appena dei film, in cui la musica ha da sempre accompagnato le scene, dapprima – ai tempi del cinema muto – con la presenza di un musicista nella sala, e poi, dall’avvento del cinema sonoro, con la colonna sonora vera e propria. Parliamo anche del ruolo che il suono ha avuto spesso nel raccontare, nel far comprendere, nel rappresentare scene, personaggi, oggetti, emozioni, che l’ascoltatore deve provare a figurarsi attraverso il solo canale musicale, come se i suoi sensi fossero ridotti a quello dell’udito, e attraverso questo, attraverso solo questo, egli dovesse comprendere la realtà.
Certamente, un brano musicale non suscita in tutti la stessa emozione o fa pensare allo stesso personaggio o allo stesso oggetto. Così, se ascoltiamo The Planets, una suite orchestrale di Gustav Holst in sette movimenti, i quali per l’appunto prendono ciascuno il nome da uno dei pianeti del Sistema Solare, non tutti riconosceranno – se non conoscendone il titolo – quale brano voglia rappresentarci Marte e quale invece Venere. L’interpretazione è, per così dire, soggettiva, così come avviene per molti altri brani musicali che sono stati associati a particolari scene, dai Quadri di un’esposizione di Musorgskij alle Quattro Stagioni di Vivaldi.
È possibile sfruttare il suono anche per rappresentare altri aspetti della realtà, per farci capire altri fenomeni? Cioè, non appena per suscitare un’emozione – che può anche essere differente da ascoltatore ad ascoltatore – ma per rappresentare in modo oggettivo lo svolgimento di un fenomeno? In fondo, se pensiamo a come rappresentiamo abitualmente i dati, sotto forma di grafici, non facciamo altro che associare l’andamento di un fenomeno che si svolge nel tempo ad una rappresentazione visiva. Il crollo improvviso di un mercato azionario verrà rappresentato da una linea in un grafico, che subisce un rapido cambiamento nella sua curvatura: quel grafico ci dirà in modo immediato cosa e quando è successo, attraverso un’immagine eloquente. Anzi, l’ampiezza del picco negativo che potremmo osservare ci direbbe in modo quantitativo se il mercato ha perso l’1% oppure il 5 o il 10%. Abbiamo trasformato insomma una serie di dati, che avremmo potuto rappresentare con una sfilza di numeri in colonna, in un’unica immagine, con una percezione più immediata e diretta del fenomeno. Tutto questo fa parte ormai della normale pratica scientifica – e non solo scientifica – del rappresentare i dati numerici sotto una forma grafica, un metodo che mette in azione il nostro senso della vista per cogliere rapidamente l’essenza di un fenomeno e per comprenderne meglio regolarità o anomalie.
Possiamo allo stesso modo rappresentare una serie di dati attraverso una opportuna sequenza di suoni, sfruttando stavolta il senso dell’udito? A questa domanda ha tentato di dare una risposta una tecnica, chiamata sonificazione, che associa il dato numerico a opportune grandezze caratteristiche del suono, come la sua frequenza, la sua intensità o il suo timbro. Così, nell’esempio precedente, potremmo associare la frequenza del suono al valore numerico che rappresenta un indice del mercato azionario: frequenze più alte corrisponderebbero a valori più elevati di quest’indice, frequenze più basse a valori minori. Un improvviso crollo del mercato azionario sarebbe descritto in termini sonori da un improvviso cambiamento di frequenza del suono, dal passaggio da un suono più acuto ad un suono più grave.
Sono innumerevoli ormai gli esempi in cui serie di dati associati a grandezze fisiche, chimiche, mediche o di tipo economico, sono stati rappresentati con opportune sequenze di suoni, che fanno percepire uditivamente il fenomeno in questione. Quando, ad esempio, alcuni anni fa è stata riportata l’evidenza delle prime onde gravitazionali osservate, il fenomeno è stato presentato al grande pubblico attraverso un processo di sonificazione, per dare un’immagine sonora di fenomeni estremi come la fusione di due buchi neri. Ma la sonificazione è stata usata in questi anni per descrivere innumerevoli altri fenomeni, dall’ammontare delle transazioni economiche all’andamento dell’epidemia di Covid, con veri e propri archivi sonori di fenomeni trasformati in suoni.
Un processo, quello della sonificazione, a cui anche fisici di Catania, come il prof. Barbera, hanno dato un contributo, oltre 15 anni fa, quando i dati sismici di due vulcani attivi (l’Etna in Sicilia e il vulcano Tunguraha in Ecuador) sono stati trasformati in suoni udibili, come in una sonata per pianoforte, anche per studiare dei pattern che potessero essere usati per comprendere meglio i terremoti di origine vulcanica, un’attività ripresa dai maggiori siti di informazione a quel tempo, da Focus alla BBC.