Il romanzo della palermitana Simonetta Agnello Hornby, che narra le vicende di Rosaria Inzerillo, diventa oggi una graphic novel con i disegni unici dell’illustratore genovese, che dice: «L’ho adorato fin da subito»

Quando l’avvocatessa palermitana Simonetta Agnello Hornby fantasticò per la prima volta su Rosalia Inzerillo, protagonista de “La Mennulara”, non poteva di certo immaginare il grande successo che da lì a poco avrebbe investito lei e il suo personaggio. Tradotto in diciannove lingue e adattato anche per il teatro dallo Stabile di Catania, il romanzo, è stato di recente trasformato in una graphic novel dal fumettista e illustratore genovese Massimo Fenati. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare come è nato il progetto e il lavoro che ha fatto sul testo.

Due italiani a Londra. Lei e la signora Agnello Hornby da anni vivete nella capitale inglese, è avvenuto qui il vostro primo incontro? 
«Sì. Ci ha presentati, cinque o sei anni fa, Ornella Tarantola, la straordinaria libraia dell’Italian Bookshop di Londra. Carissima amica di entrambi ha pensato che ci saremmo trovati bene assieme e aveva ragione. Simonetta ed io siamo diventati in fretta grandi amici e per ringraziarla le abbiamo dedicato la graphic novel».

La Agnello Hornby esordì nel 2002 come scrittrice con “La Mennulara”. Com’è nata l’idea di farne un fumetto?
«Ho letto il romanzo dopo aver conosciuto Simonetta e l’ho adorato fin da subito. È stato uno di quei rarissimi casi in cui un libro mi ha conquistato al punto da non poter smettere di leggerlo, sentendo al tempo stesso il bisogno di interrompere la lettura per paura che il piacere finisse. È una storia perfetta, una saga familiare, uno spaccato sociale della Sicilia degli anni ’60, un giallo che riesce a toccare temi importanti come la violenza domestica mantenendo un tono leggero e godibilissimo. A tratti ho riso e mi sono commosso. Me lo sono tutto immaginato nella mia testa, per cui ho proposto a Simonetta di farne una versione a fumetti, incerto di quale sarebbe stata la sua reazione. In fin dei conti un libro è una cosa molto personale. Lei è stata immediatamente entusiasta dell’idea e l’editore l’ha trovata perfetta per la collana Feltrinelli Comics; da lì è partito il lungo lavoro di adattamento».

Oltre ai disegni lei ha curato anche la sceneggiatura, come si è approcciato al testo e quali differenze ci sono rispetto al racconto originale?
«Ho cercato di rispettare l’originale quanto più potevo. Chiaramente una storia narrata per immagini ha esigenze specifiche quindi se nel romanzo alcune scene non sono in ordine cronologico, in un fumetto lo devono diventare per evitare confusione. Inoltre, per esigenze di produzione la Feltrinelli mi ha dato il limite di 180 pagine – e vi posso assicurare che sono già state una marea da disegnare, dodici mesi di lavoro sodo – per cui due o tre scene sono state accorciate o unite. Il lavoro più importante è stato comunque la creazione dei personaggi. Nel romanzo ci sono pochissime descrizioni sulla loro fisionomia, per cui è stato fondamentale tradurre quello che è il carattere di un personaggio in sembianze fisiche: il vecchio dottore ha un aspetto più docile, la vicina pettegola ha il naso adunco, il marito violento ha sguardo torvo e grossi baffi. Una sfida, ma davvero divertente».

Nonostante la drammaticità del racconto, sfogliando il libro balza subito agli occhi l’uso di colori brillanti. Ci spiega questa scelta?
«Prima di tutto volevo usare una gamma cromatica poco realistica, astratta, più “autoriale” perciò il cielo è diventato giallo o verde e i visi bianchi. Ho scelto dei colori tipici siciliani, molto forti come il giallo del sole abbagliante o dei limoni e il blu del cielo. Oltre a ricordare una ceramica di Caltagirone, l’intensità dei colori doveva sottolineare le emozioni: il blu suggerisce una situazione serena, il rosso una scena drammatica o violenta, permettendo anche di distinguere le scene ambientate nel presente e i flashback che raccontano il passato».

Come ha caratterizzato Rosalia Inzerillo?
«Di lei il testo originale menziona solo il viso ovale, i capelli ricci tirati in un tuppo e il fatto che fosse una donna “quasi bella”. La volevo sensuale e seducente, ma non bellissima, forte e in qualche modo aggressiva. Ho pensato quindi di aggiungere al volto ovale, più dolce e gradevole, un naso a punta che potesse darle quel tono sexy e al tempo stesso un po’ aggressivo e “spigoloso” ».

Un’altra passione in comune con la Agnello Hornby sembra essere la cucina. Penso alla sua rubrica “Cucina A Fumetti” per “Il Corriere della Sera” o ai Foodles, in cui mescola dolci e disegni.
«In effetti è un altro grosso punto in comune con Simonetta. Entrambi siamo affascinati dal cibo come espressione culturale e ne discutiamo spesso. Anche nella mia rubrica parlo del cibo in maniera ampia, dalla storia del babà al rum alle origini dell’afternoon tea inglese. Viaggiando in tante città italiane, e persino a Tunisi, per presentare “La Mennulara” ci siamo spesso trovati a investigare l’origine di certi piatti locali o ad assaggiare delizie sconosciute. Il cibo è un mondo affascinante che racconta tantissimo della storia di un popolo ed essendo entrambi raccontastorie, non può non interessarci».

Le piace cucinare? Qual è il suo piatto forte?
«Adoro cucinare soprattutto fare focacce, grissini, torte e biscotti. Anche se quello che amo di più è il pane, il re della tavola. Panifico ogni settimana da quasi 8 anni con una pasta madre che mi è arrivata da un forno calabrese e ha 47 anni. L’odore del pane appena sfornato che invade la casa di domenica mattina è una delle gioie più grandi della vita».

Ha raccontato che “Libro dell’amore di Gus e Waldo”, la storia di due pinguini gay, è nata da uno scarabocchio su un post-it.
«Un giorno ho disegnato un pinguino, il mio compagno lo ha adorato a tal punto che, per il nostro anniversario, gli ho fatto e regalato un piccolo libro che ho poi mostrato a un agente letterario, da lì è stato un effetto valanga che mi ha cambiato la vita. Anche se ho sempre amato i fumetti fin da piccolo ed ho sognato di fare il fumettista, dopo la laurea in Architettura mi ero trasferito a Londra per fare il designer. Il destino però non mi ha lasciato scappare. La storia dei due pinguini è semi-autobiografica e parla di cosa vuol dire essere una coppia e più precisamente di quello che avviene dopo che ci si mette insieme, dopo la parola “The End”. Il fatto poi che i protagonisti siano gay è casuale anche se parlano ad un pubblico vasto mostrando come le dinamiche di coppia siano identiche, sia essa gay o etero, umana o pinguina».

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