Cosa rende la Sicilia una meta così spiritualmente attrattiva per un forestiero? Si tratta certamente di una domanda complessa, che presupporrebbe risposte variegate e ramificate. Ma se proprio ci venisse chiesto un notevole sforzo di riduzione concettuale, potremmo forse dire che nell’isola è possibile trovare, sentire a pelle, afferrare tutto ciò che un viaggiatore crede di cercare (e volere). Il fascino dell’esotismo che si rivela ad ogni passo, le tracce del passato che resistono monumentali allo scorrere del tempo, l’alternanza naturale tra verticalità e orizzontalità, tra senso del profondo, dell’abisso, e senso della sommità. O, ancora, l’armoniosa espressione di una lingua metamorfica, la consuetudine profana del vivere, impregnata nonostante tutto di un misterioso alone di sacralità. Dev’essere la Sicilia, agli occhi di chi vi si approccia per la prima volta, un turbine di sensazioni inspiegabili, ma proprio per questo prive di ogni apparenza di banalità. Un vortice di immagini destinate a restare impresse nella memoria come quelle di un sogno ricorrente di cui tanto si vorrebbe giungere all’interpretazione, ma che lasciamo lì, sullo sfondo dei nostri ricordi, come piacevole pungolo dell’esistenza. Un condensato fantasioso di ciò che di più bello e suggestivo esiste al mondo. O, almeno, è così che descriveva la nostra bella isola Carl August Schneegans, scrittore e diplomatico tedesco vissuto nella seconda metà del XIX secolo, che rese testimonianza del proprio viaggio attraverso un resoconto di stampo quasi lirico, inframmezzato ad ogni piè sospinto da espressioni di entusiasmo e di stupore. Quasi un viaggio letterario, verrebbe da dire, in cui non soltanto Schneegans ravvisò tante delle storie e delle leggende che aveva librescamente appreso nel corso dei suoi studi d’infanzia, ma in cui soprattutto non poté fare a meno di identificarsi totalmente. Non più semplice viaggiatore, ma voce moderna di una realtà ancestrale.

Già dalle prime battute del volume dall’eloquente titolo La Sicilia nella natura, nella storia, nella vita il diplomatico si interroga meravigliato sulla collocazione immaginifica di quell’infinito microcosmo che lo ha appena accolto. Ogni riferimento consueto e predeterminato sembra sparire, lasciando il posto alle acrobazie della mente: «Siamo ancora in Europa? Abbiamo già passato la soglia dell’Oriente? Come un porto di una delle isole Cicladi, bianca e quasi impallidita dal sole, con tetti piani, sparsa di cupole moresche e con le cime dei campanili stranamente acuminate, si stende Messina sul mare e sale dai monti, che si alzano rapidamente dalla costa. Scabrosa e con profilo irregolarmente dentato e solcato dalle spaccature profonde, taglienti e irte delle valli, si stende la catena dei monti Pelori fino al promontorio, all’apertura dello stretto». Ma già questa impressione di Oriente, questo selvaggio e ruggente scorcio paesaggistico è destinato a lasciare il posto al caldo senso di quiete mediterraneo, all’arsura dell’anima che anela alla propria pace: «L’impronta di questo popolo, di tutto questo paese, a prima vista non è più europea e neanche italiana: si sente la vicinanza del continente africano». È una terra designata dal fato, quella che emerge dal delicato ritratto di Schneegans: designata ad essere la culla dell’incontro, lo specchio in cui ogni continente si guarda e si scopre, l’abbraccio carico di purezza tra le dimensioni del vicino e del lontano, del tempo e dello spazio. La terra dove tutto appare possibile. Dove i giganti si vestono di lava per atterrire e dilettare i propri ammiratori: «Davanti ai nostri occhi si stende, in tutto il suo terribile splendore, il campo dell’eruzione. Ogni parola sarebbe vana per dipingere siffatto spettacolo, che supera ogni opinione e vince ogni descrizione. Avevo assistito, anni addietro, a una eruzione del Vesuvio; ma quale differenza tra quella e questa del monte siciliano. Il Vesuvio è un bambino in confronto a questo gigante!». Dove il mito continua imperterrito a riaffiorare nella semplicità di ogni giorno: «Se vivessimo ancora al tempo dei pagani e degli eroi olimpici, non si adorerebbe alcun altro dio che Helios o Dioniso, il dio del sole sfolgorante, l’uno accanto all’altro, come padre e figlio, malgrado tutti gli alberi genealogici delle famiglie mitologiche: Helios, che produce il vino imbevuto degli ardenti raggi del sole; Dioniso, nelle cui vene circola il sangue caldo del padre, del sole, e, accanto a loro Poseidone che abbraccia i monti, il dio della medesima famiglia, ma che fa valere i suoi diritti incontestati e incontestabili, sopra un altro regno».

È proprio questo, insomma, per Schneegans, il segreto di una meraviglia che non accenna ed esercitare la sua attrazione nemmeno sotto il peso dei secoli: la Sicilia è la sintesi delle bellezze del globo. È, in una certa misura, il suo centro tangibile. Lo spazio in cui nessuno, attraversandolo, può davvero dire di non essersi sentito a casa.

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