Catania è la città in cui, se ti muovi in auto, arrivi in ritardo di default. Nessuna deroga, niente leggi di Murphy a smentire l’assioma. La piaga più grave della Sicilia, lo diceva già Paolo Bonacelli in una scena del film Johnny Stecchino, è il traffico. E così continua a essere, nei secoli dei secoli – anzi, nei vicoli dei vicoli.

Una scelta poco ecologica e che, peraltro, non ha alcun risvolto positivo nella propria routine è chiaro che andrebbe eliminata gradualmente dalla propria vita. Certo. A meno che non si viva a Catania, città in cui, se non ti muovi in auto, hai una vita ancora più complicata.

Un esempio pratico? Facciamone due, ché nella vita (lo diceva già Antonio De Curtis, nella scena di un altro film iconico, Totò, Peppino e la malafemmina), abbondantis abbondantum.

Primo esempio, tratto da una storia vera: lei arriva mezz’ora dopo il previsto alla laurea di lui, perché pur essendo uscita con un’ora e un quarto di anticipo da casa è costretta ad aspettare ben al di là delle previsioni (e dei tabelloni orari) la linea di autobus urbana che la porta, in linea d’aria, a 2,2 km di distanza, all’interno dello stesso centro storico.

Secondo esempio, altrettanto reale e perfino più recente: lui vuole andare a trovare lei, stavolta in un paese limitrofo (6,4, km), servendosi del servizio di littorina (alias ferrovia circumetnea, fondata con un regio decreto del 1883) che è gestito dalla direzione del Trasporto pubblico locale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Peccato che, intendendo partire dopo le 4:30 postmeridiane, si renda conto che la tratta non verrà più servita fino alla mattina dell’indomani.

(A scanso di equivoci, si precisa che gli esempi sono da ritenere validi anche nel caso in cui si tratti di un lui e una lei prima e di una lei e un lui dopo, o di due lui, o di due lei, o di persone non binarie. Il traffico, a Catania, è una certezza trasversale).

Naturalmente, se si ha più fortuna, il capoluogo etneo è anche il posto da cui si può raggiungere un altro Comune, situato stavolta a 17,5 km, in dieci minuti di treno regionale, pagando un biglietto di sola andata che vale tutti i suoi 2,80 € – a meno che, s’intende, non porti un ritardo di tre ore nell’arrivare da Messina Centrale, vicenda di altrettanta veridicità e su cui non sarebbe l’ideale soprassedere.

Per non parlare (perché sarebbe uno sterile accanimento) del fatto che, nonostante operi in Sicilia solo dal 2018, a oggi Flixbus sia l’unica compagnia di trasporti affidabile se dalla fatidica Catania si vuole raggiungere la ridente Agrigento senza smarrirsi 7-8 volte durante il tragitto a causa di un’ambigua, se non stregata, segnaletica. Altrimenti, certo, si possono sempre effettuare due cambi con Trenitalia per la modica durata di 3h51 di tratta, o trascorrere 2:50 in autobus fra curve e colline che viabilità medievale spòstati.

E che dire dei treni che, da quando è crollato il viadotto Himera sull’autostrada A19 Palermo-Catania, nel 2015, hanno impiegato ben 2 ore e 40 minuti per collegare le due province, quando in tempi non sospetti il tragitto durava solo 3 ore e 10 minuti (avete capito bene, e se non avete capito bene vi consigliamo di rileggere attentamente la domanda)? Niente, appunto. Non c’è niente da dire al riguardo.

Fortuna che, da domenica 14 novembre 2021, Catania sarà una delle città sicule che vanteranno un nuovo collegamento ferroviario. Uno nuovo di zecca, anzi, di Freccia, con il quale si prevede di portare finalmente anche nella Trinacria l’alta velocità.

Lo hanno riportato i giornali locali giorno 8 novembre (e noi ci scusiamo per il disagio causato dal nostro ritardo nel riprendere l’argomento, ma faceva troppa pendant con Trenitalia per desistere), raccontando dell’inaugurazione della Frecciabianca avvenuta presso la stazione di Catania Centrale alla presenza del sottosegretario delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili Giancarlo Cancelleri, dell’assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità della Regione Siciliana Marco Falcone, del sindaco di Catania Salvo Pogliese e dell’amministratore delegato e direttore generale di Trenitalia Luigi Corradi.

Tre righe e mezzo di nomi e di titoli per poi giungere alla conclusione che, la loro, non sia assolutamente una rivoluzione. «Sono i passi che ci devono portare verso la normalità, consapevoli di andare nella giusta direzione», sostengono, a buon diritto. E sono i passi che dovrebbero portare pure da un capo all’altro dell’isola, e poi fino a Roma in Intercity impiegando circa tre ore in meno dell’attuale durata del viaggio.

Peccato che, come ha sottolineato l’ingegnere Roberto Di Maria, « nessuna linea siciliana permette una velocità massima di 200 km/h, né, tantomeno, lo consentono le linee percorse dai futuri treni Frecciabianca, nell’itinerario, inedito, Palermo-Caltanissetta-Enna-Catania-Messina», quando invece «nel resto del mondo, quando si parla di Alta Velocità, si fa riferimento ai treni che vanno a trecento chilometri all’ora» (fonte: Gazzetta del Sud).

Lungi dal voler suggerire polemiche retoriche e inutili, che ha già saggiamente (e caldamente, e ripetutamente, e senza dubbio casualmente) scoraggiato Cancelleri, è però impossibile non notare che i passi in questione saranno quindi piuttosto dimessi. Non un passo da gigante verso quel 2021 che sembra ancora irraggiungibile se non a bordo di una DeLorean, ma un passo d’uomo. Anzi, di carùsu.

Un passo che spingerà molti a usare ancora la macchina, laddove possibile, e che ancora lascia che la ferrovia sia il brivido più grande di chi vive in Sicilia, senza accorciare quelle distanze per cui tanto si batteva Nek in una canzone di ormai sedici anni fa. Il tempo passa, insomma, mentre il già citato disagio dei trasporti – al netto di lievi miglioramenti – resta fermo al suo posto.

Nessun rancore, però, nessuna lamentela. D’altronde, era solo il 1969 quando Neil Armstrong impiegava 70 ore per atterrare sulla luna, a 384.400 km dalla superficie terrestre. Oggi, nello stesso intervallo temporale, si può fare Catania-Roma e ritorno per ben cinque volte, e scusate se è poco…

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