Le sue liriche assomigliano a veri e propri quadri in miniatura. Quelli che non puoi fare a meno di notare passeggiando per le piazze e le stradine di un paesino siciliano in una domenica di festa o durante una sagra. Quelli in cui un pescatore, stanco e orgoglioso, conserva le reti dopo una lunga giornata di pesca o in cui antiche abitazioni isolane, con tanto di balconcino, grondaia e intonaco in pietra lavica, rivivono con precisione stupefacente. Quelli, insomma, tratteggiati e dipinti su tegole o lastre di terracotta dalle sapienti e pazienti mani dei nostri navigati artigiani. E Nino Martoglio, a ben vedere, è stato proprio un artigiano della parola: mirabile nell’utilizzo di un dialetto intenso e infinitamente sfumato, crudo e implacabile sulla scorta della migliore tradizione verista eppure innamorato di una bellezza autentica e immediata, capace di affiorare con naturalezza dalla realtà di ogni giorno. Sebbene la sua fama sia principalmente dovuta alla sua carriera da drammaturgo e romanziere, non tutti conoscono la sua smisurata passione per la poesia, attraverso la quale mosse i primi passi e che si dilettò spesso a pubblicare nel settimanale satirico interamente scritto in siciliano D’Artagnan, da lui stesso fondato nel 1889, all’età di 19 anni. Quelle stesse poesie fotografano la Sicilia con raro acume ed empatia. Al punto che persino Pirandello se ne innamorò.

Ben presto, infatti, le prove poetiche dello scrittore nativo di Belpasso vennero raccolte nel volume denominato Centona (che in dialetto equivale grossomodo a “confusione”, rimandando alla natura polifonica e genuina dei componimenti) e il creatore dei Sei personaggi in cerca d’autore non esitò a firmarne la prefazione in occasione della morte di Martoglio, nel 1921 (avvenuta per una caduta nella tromba dell’ascensore all’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania, durante una visita che Martoglio aveva fatto proprio a Pirandello, in quel momento ricoverato). L’ elogio verso sua la poetica è ancora oggi memorabile e sintetizza perfettamente il valore culturale di una personalità che rischia, talvolta, di essere ingiustamente confinato nelle retrovie degli illustri letterati siciliani. «Nino Martoglio è per la Sicilia quello ch’è il Di Giacomo e il Russo per Napoli; il Pascarella e Trilussa per Roma; il Fucini per la Toscana; il Selvatico e il Barbarani per il Veneto: voci native che dicono le cose della loro terra, come la loro terra vuole che siano dette per esser quelle e non altre, col sapore e il colore, l’aria, l’alito e l’odore con cui vivono veramente e si gustano e s’illuminano e respirano e palpitano lì soltanto e non altrove. Nino Martoglio è tutta la sua Sicilia, che ama e che odia, che ride e giuoca e piange e si dispera, con gli accenti e coi modi che qui in Centona sono espressi per sempre, incomparabilmente». È un’immedesimazione carnale, sanguigna, quella che coinvolge il poeta e il luogo che gli ha dato i natali, attraverso cui ogni notazione nei confronti di esso, benevola o meno, si tramuta in uno struggente inno d’amore. Satira e condanna, compassione e senso di giustizia si mescolano e si intrecciano senza sforzo: c’è il rifiuto e lo sbeffeggio senza appello della mafia e delle sue trame omertose; la messa in rilievo delle contraddizioni di una terra marchiata da profondi squilibri, all’interno della quale ricchezza e povertà, onestà e malaffare si confrontano aspramente. Ma c’è anche la leggerezza delle nostre sacre e secolari consuetudini, l’attitudine di chi sa osservare e apprezzare anche i più minuscoli attimi di felicità: il cantastorie intento a narrare le gesta dei grandi cavalieri che si altera bonariamente quando viene interrotto (vedi U’ Cantastorii), la madre che mette in guardia la giovane figlia dalle spire sensuali degli spasimanti (come in L’Amuri), le comari che discutono animatamente sulla vivace condotta dei propri figli. La meraviglia del quotidiano che si eleva verso l’immortalità.

È la Sicilia dei vicoli animati dal chiacchiericcio, delle ferite a cui storicamente tentiamo di porre rimedio, dell’innocenza popolare che diventa saggezza, quella a cui Martoglio dà lustro. Spogliata di ogni pregiudizio, di ogni filtro, incastonata in un linguaggio ancora incredibilmente attuale e vivido. La Sicilia delle storie minute, degli animi sconosciuti che saltano alla ribalta e mostrano la loro universalità. La letteratura di Martoglio, in fondo, non è che questo: l’intuizione di una grandezza frammentata che va ricomposta. La voce di sentimenti che non temono lo scorrere del tempo.

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Giornalista, laureato in Lettere all'Università di Catania. Al Sicilian Post cura la rubrica domenicale "Sicilitudine", che affronta con prospettive inedite e laterali la letteratura siciliana. Fin da giovanissimo ha pubblicato sulle pagine di Cultura del quotidiano "La Sicilia" di Catania.

1 Comment

  • Salvatore Camonita
    4 anni ago

    Un sogno perduto in un epoca che non è più

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