L’approfondimento in radio, il ruolo delle donne, il giornalismo investigativo: la sesta giornata del workshop
Se i quotidiani tradizionali stentano a trovare la formula per riconquistare i lettori, il giornalismo radiofonico si riscopre capace di incontrare sempre di più il gusto del pubblico riuscendo anche a cavalcare il successo di nuovi strumenti come i podcast. Questo il tema affrontato durante il primo appuntamento del sesto giorno del workshop internazionale “Il giornalismo che verrà” organizzato dal Sicilian Post nella cornice della Scuola Superiore di Catania a Villa San Saverio. Protagonista dell’incontro il giornalista Antonio Talia, autore della trasmissione di approfondimento esteri “Nessun luogo è lontano”, in onda su Radio24. «La formula del News & Talk, priva di brani musicali, ci consente di dedicare ampio spazio alle notizie e all’approfondimento riuscendo, al contempo, a costruire palinsesti coinvolgono l’ascoltare». Un modo di declinare l’informazione che non rinuncia alla qualità dell’approfondimento e che, oggi, esplora le possibilità offerte dalle nuove piattaforme di streaming audio. «Tra gli spinoff di ”Nessun luogo è lontano”, “Io sono il cattivo”, che si concentra su figure come terroristi e trafficanti di droga internazionali, rappresenta un esempio di come sia possibile ibridare il racconto giornalistico con nuove forme espressive. In ogni episodio – ha raccontato Talia – accanto alla narrazione prettamente giornalistica trovano infatti spazio altri elementi come, ad esempio, le testimonianze di persone coinvolte direttamente nella storia».
Nel pomeriggio i lavori sono proseguiti da Isola con l’incontro Notizie, femminile plurale che ha coinvolto la direttrice de La Nazione Agnese Pini, il direttore de La Sicilia Antonello Piraneo, la giornalista de L’Osservatore Romano Silvia Guidi e la giornalista, già direttrice di Donna Moderna, Annalisa Monfreda. «In un contesto che si sforza di essere più inclusivo – ha spiegato la Monfreda- continuare a considerare le donne alla stregua di altre minoranze è improprio dal momento che esse rappresentano la metà degli interlocutori di ogni redazione. Dare maggior spazio a punti di vista diversi, soprattutto a quelli femminili che sono ormai particolarmente rilevanti, è un’opportunità straordinaria che il giornalismo non può permettersi di non cogliere». A tal proposito si colloca la recente esperienza editoriale del quotidiano La Sicilia: «Il tema di una crescente inclusione delle voci femminili nel mondo dell’informazione – ha rilevato il direttore Piraneo – ci sta particolarmente a cuore. Da un paio di mesi a questa parte, ogni venerdì pubblichiamo una pagina interamente dedicata all’universo femminile, nel tentativo di fare un racconto in cui la voce delle donne emerga al di là degli stereotipi». E di stereotipi infranti ne sa qualcosa Silvia Guidi, prima donna ad essere stata assunta da L’Osservatore romano: «Nonostante nell’immaginario collettivo il giornale per cui scrivo sia ritenuto prettamente maschile, da quando ho messo piede in redazione ho scoperto che esiste una lunga storia di prestigiose collaboratrici donne. Inoltre in più da più di dieci anni il giornale pubblica l‘inserto dal titolo Donne, Chiesa, Mondo in cui la voce femminile è particolarmente esaltata». Tuttavia la strada da percorrere prima che le giornaliste possano giocare davvero ad armi pari con i colleghi è ancora lunga. Ne è convinta Agnese Pini: «Il problema principale del ruolo femminile nel nostro Paese è legato alla scarsità di donne che ricoprono ruoli decisionale. Se non sei in grado di decidere è come se tu non esistessi. È necessario che le redazioni inizino a fare un esercizio di interiorizzazione su questi temi fondamentali, cosicché questi si trasformino in abitudini».
Ha fatto seguito “Il racconto del cinema”, un incontro dedicato al tema della critica cinematografica e delle criticità a cui la professione sta andando incontro, senza dimenticare tuttavia le opportunità che la dimensione digitale può offrire. A dibattere sono stati i direttori artistici del 68° Taormina Film Fest Alessandra De Luca, Federico Pontiggia e Francesco Alò. «La crisi esiste – ha affermato la De Luca – ma non credo sia tanto del cinema, quanto piuttosto delle sale e del modo in cui vengono offerti i prodotti cinematografici. Abbiamo bisogno di una linea editoriale di qualità e di una comunicazione che aiuti il pubblico ad orientarsi meglio in un panorama di opportunità sempre più vasto». A farle eco l’opinione di Pontiggia: «C’è un altro grande problema: il lavoro del critico viene pagato troppo poco. Solo un’adeguata considerazione di questa attività lo nobilita e lo differenzia rispetto ad un semplice hobby. Altrimenti, rischiamo di minimizzare quella che, invece, è un’eccezione culturale, ovvero la recensione offerta da una persona formata e competente». A fronte di questo scenario non certo semplice, i nuovi strumenti social possono rappresentare una alternativa interessante: «Grazie all’utilizzo sempre più frequente di piattaforme video come Twitch, il critico non è mai stato così popolare. Penso che questo possa essere il futuro di questa figura, perché, fidelizzando un pubblico disposto a pagare per determinati contenuti, è possibile trarne un guadagno in assenza di editori che scommettono su una recensione»
A concludere la serata, un dialogo con autorevoli voci che a lungo si sono occupate degli intrecci tra politica e malaffare, vale a dire il presidente della Daphne Caruana Galizia Foundation Matthew Caruana Galizia, l’Advocacy Officer di Trasparency International Italia Susanna Ferro, il magistrato e membro togato del CSM Sebastiano Ardita, moderati dal giornalista Antonio Talia, autore del podcast “Io sono il cattivo”.
«Una delle attività principali di Transparency – ha sottolineato Susanna Ferro – è quella di stilare l’indice della corruzione percepita. Tuttavia, analizzare il fenomeno nella sua completezza è tutt’altro che semplice, dal momento che ottenere dati oggettivi sulla sua diffusione è piuttosto complicato. La nostra classifica ci permette comunque di operare una comparazione tra i vari paesi: solo fotografando la situazione da più punti di vista si può tentare di ricostruire un quadro quanto più fedele». La corruzione, d’altro canto, si muove spesso nell’ombra e su più livelli: «Quando ci troviamo ad analizzare il fenomeno – ha spiegato Sebastiano Ardita – dobbiamo fare i conti con un duplice ordine di problemi. Innanzitutto, con la natura sommersa di questo genere di reati, che quasi sempre si legano ad altre criticità come quella del ruolo della criminalità organizzata. In secondo luogo, numerosi altri reati, che giuridicamente non rientrano nella definizione di corruzione, sono in realtà apparentabili ad essa: mi riferisco, ad esempio al mantenimento dei privilegi o agli scambi di favori». Come superare, dunque, la difficoltà di investigare sugli illeciti sommersi di fronte, oltretutto, a stati che si dimostrano poco collaborativi come, ad esempio, i cosiddetti paradisi fiscali? «Distinguerei, per prima cosa, – ha rilevato Matthew Caruana Galizia – tra paradisi fiscali, categoria nella quale potremmo far rientrare anche Malta, e paradisi di segretezza, mete particolarmente attraenti per le organizzazioni criminali che utilizzano criptovalute per operare un riciclaggio sempre più sofisticato ed efficace. Indagare su aziende di Dubai o Hong Kong, che mostrano di tenere molto alla riservatezza, è stato lungo e frustrante per chi, come me, ha vissuto sulla propria pelle gli effetti della criminalità. In compenso, l’Europa, da questo punto di vista, ha fatto dei passi in avanti, costringendo le aziende a dichiarare apertamente di quale natura siano le loro transazioni».