«Da sempre faccio foto, la mia è un’esigenza fisica, però sono una persona prima che una fotografa. La macchina fotografica mi ha permesso di essere me stessa e la fotografia è stata come un’acqua dentro la quale mi sono immersa, lavata e purificata, l’ho vissuta come salvezza e come verità». Così si esprime nel suo Diario, pubblicato nel 2014, la fotogiornalista Letizia Battaglia nata a Palermo ottantasei anni fa.

Comincia la sua attività nel 1969 come collaboratrice del giornale palermitano L’Ora, presso la cui redazione si ritrova come unica donna. Nel 1970 si trasferisce a Milano, dove ha l’opportunità di fotografare per conto di diverse testate. Nel 1974 il ritorno nel capoluogo siciliano e la sinergia con Franco Zecchin, che dà vita all’agenzia “Informazione fotografica”, grazie alla quale conosce Ferdinando Scianna. Sono anni difficili per la sua città, anni scossi da frequenti delitti di mafia, che la Battaglia documenta con le sue immagini per sensibilizzare l’opinione pubblica. Il 6 gennaio 1980 è la prima fotoreporter a giungere sul luogo in cui viene assassinato  il presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella. Sua la foto di un giovane Sergio Mattarella che tiene tra le braccia il fratello appena ucciso.

Gli orrori della mafia, tuttavia, non sono gli unici soggetti che la spingono a fotografare. Ben presto, infatti, la sua fama raggiunge una dimensione internazionale. I suoi scatti, spesso contraddistinti dalla scelta stilistica del bianco e nero, testimoniano le profonde contraddizioni della città di Palermo, divisa tra l’assoluta miseria, i lutti, i volti del potere e lo splendore delle sue tradizioni, degli sguardi dei bambini e delle donne, dei quartieri, delle strade, delle feste.

Il suo genio è stato riconosciuto nel 1985, quando a New York le è stato assegnato il prestigioso Premio Eugene Smith: è stata la prima donna europea a riuscirci. Le sue esposizioni sono state ospitate da paesi di tutto il mondo: oltre, naturalmente a quelle tenute in suolo italiano, se ne ricordano numerose nell’Est Europa e ancora in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Brasile, Svizzera e Canada.

A cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, si segnala anche una breve parentesi politica da militante del Partito dei Verdi, prima come consigliere e poi in qualità di assessore comunale. Di lì a poco, tuttavia, qualcosa dentro di lei sarebbe cambiato per sempre. Dopo l’assassinio del giudice Falcone, il 23 maggio 1992, abbandona la fotografia, ormai stanca di avere a che fare con la violenza prodotta dalla sua amata città.

Ha sempre vissuto la fotografia come missione, la prima vera arma contro la ribellione ed ha desiderato sempre diffondere le proprie conoscenze ed esperienze a tutti coloro i quali erano desiderosi, come lei, di fare della fotografia un compito sociale. Questa “missione” ha portato Letizia ad inaugurare, nel 2017, il “Centro Internazionale di Fotografia di Palermo”, un archivio storico che raccoglie gli scatti di oltre 150 fotografi, professionisti ed amatori, che desiderano mostrare al pubblico, nazionale ed internazionale, la loro visione della città per poter essere conservate per sempre.

Nelle foto di Letizia non c’è spazio né per i giudizi crudeli né per l’edulcorazione: ciò che viene rappresentato è reale, senza filtri. Come ben dimostra l’immagine scelta per questo appuntamento: La bambina con il pallone, quartiere La Cala, scattata nel 1980. Lei stessa la commenta così: «Ero in una trattoria con Franco Zecchin e un altro bravo fotografo, ormai all’estro da tempo, Ernesto Bazan. Quando abbiamo finito di pranzare siamo andati a sederci fuori per un caffè. Un gruppo di bambine stava giocando per strada. Mi alzai precipitosamente e le raggiunsi. Una bambina molto magra attrasse la mia attenzione. Le puntai addosso l’obiettivo. Era stupita, forse intimorita, la spinsi dolcemente come in sogno verso il portone, contemporaneamente lei alzò il braccio sopra la testa, il pallone sempre in primo piano. Si creò “un’alchimia perfetta”. Mi piace immortalare le bambine in quell’età che si affacciano all’adolescenza, con i loro corpi magri, i capelli lisci che scendono sul viso, le occhiaie nere. Quell’età in cui i sogni sono in bilico, possono infrangersi da un momento all’altro sulla realtà. Per questo le bambine che ritraggo quasi sempre non sorridono, hanno perso la gioia com’era successo a me, guardano il mondo con la serietà con cui lo guardavo anche io alla loro età. Ogni volta che fotografo una bambina mi perdo e mi ritrovo, muoio e rinasco ogni volta».

È lo sguardo ciò che anima l’immagine. Quegli occhi penetranti che chiedono felicità ma si rammaricano per un contesto sociale che continua a negarla. Una sofferenza visibile simbolicamente nell’intonaco cadente alle sue spalle.

Letizia tante volte si è chiesta che fine avessero fatto le sue bambine che aveva fotografato. «Così tre anni fa si mise a cercare seriamente la bambina con il pallone». Voleva sapere dopo 38 anni chi era diventata. L’ha ritrovata attraverso la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto”? Letizia l’ha descritta così: «È arrivata una donna meravigliosa, alta, elegante nella sua semplicità. Ci siamo abbracciate. Mi ha raccontato di essersi sposata con un poliziotto e che anche suo figlio fa il poliziotto. La mia bambina era diventata una splendida donna, bella e onesta. Non mi aveva tradito».

Per Letizia Battaglia, maestra del grandangolo, fotografare ha sempre significato avvicinarsi fortemente ai soggetti, ammirare, scavalcare, scartare per poi magari ritornare sui propri passi, oltrepassare transenne, altri fotografi, poliziotti, curiosi, ma anche sangue e insulti e minacce. Perché quando si arriva alla distanza giusta per il grandangolo, lo si è anche per tutti quei dettagli che, a una distanza neutra e rispettosa, non si possono cogliere. Per mostrare un volto con un grandangolo bisogna entrare in quel cerchio che la prossemica, cioè la scienza che studia lo spazio e le distanze come fatto comunicativo, chiama la “distanza personale” se non addirittura la “distanza intima”, ovvero quelle a cui siamo abituati a tenere amici e persone care. Distanze a cui non ci si può nemmeno avvicinare senza essere notati, e quindi senza subire una qualche reazione da parte della persona. Il grandangolo per sua natura non semplifica la cattura dell’immagine, ma ha permesso a Letizia di entrare con più oggettività dentro la realtà e i risultati sono evidenti a tutti.

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