Classe 1979, lineamenti mediterranei e una delle voci operistiche più apprezzate del panorama internazionale, a dispetto dell’età Laura Giordano vanta già quasi un quarto di secolo di carriera. Ha appena tredici anni, infatti, quando entra a far parte del coro del Teatro Massimo di Palermo ma la sua voce adamantina la porterà ben presto a calcare i più grandi palcoscenici al mondo. In occasione del Gran Galà Lirico che questa sera la vedrà protagonista insieme al noto baritono Leo Nucci, al tenore Shalva Mukeria e al basso Dario Russo, abbiamo incontrato il soprano palermitano per farci raccontare della sua vocazione per il canto e del filo doppio che la lega a Catania. «Il mio debutto – esordisce – è avvenuto al Bellini. Ricordo che all’epoca andavo ancora a scuola, vestii i panni del paggio nel Rigoletto con Leo Nucci. Era un ruolo minuscolo ma non potrò mai dimenticare quell’emozione, qui mi sono sempre sentita a casa proprio come nella mia città».

Come definirebbe il suo rapporto con la musica?
«Una vocazione alla quale dedichi tutta la vita. Il canto è un lavoro giornaliero su se stessi, sulla propria tempra, sulla propria voce e sulla propria volontà per raggiungere non tanto la perfezione, che è qualcosa che non ci appartiene, ma il massimo di quello che ciascuno può dare».

Deve essere impegnativo con due bambini piccoli?
«Sì, (sorride) con un bambino di undici mesi e l’altro di quasi tre anni lo è abbastanza, però la loro presenza è una cosa che mi ha dato grande forza, mi ha radicata a terra dandomi il centro delle mie energie, dei miei sentimenti e delle mie emozioni».

Laura Giordano

Un’immagine concreta lontana da quella patinata da diva.
«Preferisco vedere questo lavoro come un sacrificio, non tanto per arrivare al successo che difficilmente si raggiunge o è frutto spesso di meccanismi che non si possono controllare, ma per la soddisfazione di fare quello per cui sei nata, di usare il dono che ti è stato dato».

Lei è principalmente interprete verdiana, donizettiana e mozartina. Come definirebbe il suo legame con Bellini?
«Direi viscerale perché insieme a Verdi è il mio compositore preferito. Quando ho debuttato ne I Puritani a Catania per me è stata un’esperienza indimenticabile, cantare Bellini nel suo tempio con gli orchestrali e i coristi di questo teatro mi riempie ogni volta di gioia e gratitudine».

Il Galà di questa sera è il secondo appuntamento del Bellini Renaissance, il Festival dedicato al compositore catanese.
«Al contrario di Donizetti, Rossini e Verdi, la figura di Bellini non ha ancora avuto secondo me il giusto riconoscimento, per questo è importante che Catania sia in prima linea con un Festival internazionale che possa diventare anche punto di riferimento per tutto il mondo operistico».

Anche perché la scrittura belliniana è ardimentosa e richiede interpreti eccellenti.
«Bellini è l’università della tecnica. Non c’è un compositore, almeno belcantista, più difficile. Devi usare tutta l’arte vocale che possiedi per raggiungere la sua musica e quando alla fine ci arrivi, beh vuol dire che hai raggiunto piena contezza dei tuoi mezzi».

A proposito di consapevolezza, ha aspettato fino al 2018 per interpretare Violetta perché prima non si sentiva sufficientemente pronta dal punto di vista recitativo e canoro. Come’è cambiata la sua voce nel tempo? E quali sono i ruoli a cui ambisce oggi ?
«A quarant’anni raggiungi la piena maturazione dello strumento, se sei riuscito ad arrivarci senza averlo rovinato è già un successo, ma se sei anche andato avanti, puoi esserne davvero fiero. I cambiamenti ci sono stati quasi a ogni decade, dal momento che la laringe è un organo “ormono-sensibile” le mie due gravidanze hanno contribuito a donargli nuova vita. Se aggiungiamo il cambiamento vocale legato all’esperienza poi, credo di essere all’alba di un percorso che si apre a nuovi ruoli. L’aria Col sorriso d’innocenza da Il pirata che eseguirò questa sera ad esempio, ha dei tratti drammatici che la rendono molto diversa dal mio solito repertorio. Ho iniziato da soprano lirico leggero poi ho virato verso il lirico. Adesso mi trovo a mio agio in questa tessitura».

«Lo streaming? Durante il lockdown è stato utile a mantenere legami con la gente, ma le voci vanno spesso in distorsione: studiamo tutta la vita per avere la proiezione migliore, per esibirci con orchestra e coro: il nostro ambiente è il teatro».

Durante il lockdown sui suoi canali social ha dato vita al format, Laura’s T Time. Qual è il bilancio di questo periodo?
«In un momento di così grande sofferenza ho cercato di creare dei legami e devo dire che collegarmi ogni giorno per mezz’ora con amici e colleghi mi ha fatto molto bene e a quanto pare in molti si sono affezionati a quest’appuntamento virtuale. Oltre al dolore per i tanti morti molte persone si sono trovate senza lavoro. Io stessa ho visto cancellati i miei contratti per questo e il prossimo anno. Non si sa ancora quando ripartiranno le stagioni, all’estero i teatri sono chiusi, l’intero settore artistico sta vivendo una situazione davvero drammatica che ha investito proprio tutti».

Laura Giordano

Per ovviare alle restrizioni in sala molti teatri si avvarranno dell’uso di piattaforme digitali. Che ne pensa?
«Ho trovato giusto che i teatri durante il lockdown proponessero spettacoli online dando la possibilità al pubblico di non andare in crisi di astinenza ma l’opera è live. Anch’io ho organizzato degli showcase per chi ci seguiva sui social, però la voce lirica ha uno spettro troppo ampio quindi spesso i microfoni vanno in saturazione facendone perdere le caratteristiche. Noi studiamo tutta la vita per avere la proiezione migliore, per esibirci con orchestra e coro: il nostro ambiente è il teatro».

Il mondo della lirica è stato nell’ultimo anno al centro di diversi scandali. Come donna si è mai sentita oggetto di discriminazione?
«Sì, soprattutto durante le gravidanze. Nonostante fossi disponibile a lavorare molti concerti mi sono stati annullati solo perché avevo la pancia. Spesso le donne in questo mestiere, come in altri, sono poco tutelate. Venti giorni dopo il primo parto e diciassette giorni dopo il secondo ero già in palcoscenico. Ho dovuto ricominciare immediatamente per far vedere che ero ancora in pista e che stavo affrontando quel periodo senza difficoltà».

«A Palermo farò tre recite del Don Giovanni, dopodiché registrerò Rita di Donizetti e forse in ottobre debutterò anche in un’opera pucciniana»

A settembre sarà al Teatri Massimo di Palermo con due suoi cavalli di battaglia: Zerlina e Susanna.
«Purtroppo la trilogia è stata cancellata a causa delle restrizioni, farò soltanto tre recite del Don Giovanni anche se è da molto tempo che non canto Zerlina. La mia vocalità, infatti, si è spostata più verso Donna Anna, però avevo accettato l’intero pacchetto quindi lo farò. Dopodiché registrerò Rita di Donizetti e forse in ottobre debutterò anche in un’opera pucciniana».

È stata diretta da grandi bacchette come Muti, Chailly, Mehta, Chung. Qual è il più grande insegnamento che le hanno lasciato?
«Ciascuno mi ha dato qualcosa, Muti per esempio mi ha insegnato come approcciare a un nuovo ruolo. Sono molto legata alla figura del Maestro, del direttore d’orchestra che riesce a comunicare attraverso il suo braccio. Stasera sarò diretta dal M° Carminati e devo dire che è sempre un piacere lavorare con lui, ha una grandissima esperienza e mi dà molta sicurezza».

Qual è invece il rapporto con le regie d’opera sperimentali?
«Direi buono, basta che dietro ci sia un pensiero perché se è solo provocazione o di contro solo tradizione vuota, allora non le trovo interessanti. Ho lavorato per esempio con Graham Vick e anche se le sue scelte possono sembrare a primo impatto ardite in realtà sono sempre molto ponderate».

Nel suo repertorio ci sono anche tante opere poco conosciute. Come si avvicina a un ruolo inedito?
«Ho sempre lo stesso approccio. Prima leggo il libretto e lo spartito, metto su la struttura del ruolo dopodiché ascolto i grandi interpreti e alla fine ritorno allo schema originale mettendo dentro tutto quello che ho maturato. Devo dire che essendo molto veloce nel memorizzare, spesso mi capita di essere chiamata appositamente per opere nuove. Per esempio I Puritani, che non conoscevo, li ho debuttati in cinque giorni: tre mi sono serviti per imparare la parte e due per le prove con l’orchestra. Per L’inganno felice di Rossini, un’opera veramente sconosciuta con il quale ho debuttato a gennaio per il Rossini Opera Festival in Oman, ho impiegato una settimana. Per fortuna ho una memoria eccellente».

Cosa non può mai mancare nel suo camerino?
«Vediamo, una sana merenda come un frutto. È importante per un cantante curare l’igiene alimentare e poi direi una cannuccia per scaldare la voce».

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