Tornare bambini, si sa, appartiene ad una categoria di desideri pressoché universale. Tutti noi, almeno una volta, abbiamo sognato con ardore di spogliarci delle preoccupazioni, della malizia, del disincanto che l’età adulta porta inevitabilmente con sé. Di fronte a questa suggestione, all’impulso di recuperare genuinamente il legame sopito e salutare con la nostra dimensione infantile, siamo spesso andati alla ricerca di qualcosa che sapesse proiettarci nel vortice passato dei ricordi: una foto, un motivetto, un indumento, una lettera. Anche la letteratura, però, possiede questo potere magico. Merito delle fiabe e dei suoi caratteristici protagonisti, attori dell’eterno scontro tra bene e male e interpreti di un destino che si dipana in modo rocambolesco. Appartengono alla nostra memoria non soltanto perché, in molti casi, hanno rappresentato il nostro primo approccio alla lettura, ma soprattutto perché hanno fondato e avviato la nostra concezione del mondo, la nostra capacità di immaginare. Dai fratelli Grimm a Gianni Rodari non c’è classico della produzione fiabesca che sia rimasto ignoto al grande pubblico. O almeno così sembrerebbe. Perché tra i figli della nostra terra, sorprendentemente, ne emerge uno su cui pochi scommetterebbero: Luigi Capuana.

Proprio lui, il raffinatissimo teorico del Verismo, il precursore dei capolavori di Verga e De Roberto, l’impegnato critico letterario che lesse con lucidità l’epocale passaggio tra ‘800 e ‘900, fu un acrobata dell’inventiva. Più che un paradosso, come apparentemente verrebbe da pensare, un intrepido atto di coraggio: è più difficile trasmettere un messaggio positivo che lasciarsi andare allo scoramento. È più difficile partorire mondi e idee non tangibili piuttosto che adeguarsi alle malinconiche pieghe della realtà. La fiaba, per Capuana, ridona vita all’ottimismo che il nostro tempo ha seppellito sotto le macerie della sua infelicità. Eloquente la prefazione che l’autore scrisse per il suo volume C’era una volta… pubblicato nel 1882: «Queste fiabe son nate così. Dopo averne scritta una per un caro bimbo che voleva da me, ad ogni costo, un bella fiaba, mi venne, un giorno, l’idea di scriverne qualche altra per i miei nipotini. In quel tempo ero triste ed anche un po’ ammalato, con un’inerzia intellettuale che mi faceva rabbia, e i lettori non immagineranno facilmente la gioia da me provata nel vedermi, a un tratto, fiorire nella fantasia quel mondo meraviglioso di fate, di maghi, di re, di regine, di orchi, di incantesimi. Vissi più settimane soltanto con essi, ingenuamente, come non credevo potesse mai accadere a chi è già convinto che la realtà sia il vero regno dell’arte. Pochi autori, aspettando dietro le quinte la sentenza del pubblico, credo abbiano tremato al pari di me nel vedermi davanti quelle vispe e intelligenti testoline che pendevano dalle mie labbra, mentre io tentavo di balbettare per il loro linguaggio così semplice, così efficace, così drammatico, che è l’eccellenza naturale della forma artistica delle fiabe». Il racconto fantastico, dunque, come responsabilità d’insegnamento. Ma anche come risposta umana ad un tentativo di evasione spirituale, come confortevole speranza anche per i più grandi.

È lo stesso Capuana ad affermare, rivolgendosi a coloro che rischiano di farsi facilmente ingannare, la profondità di una simile iniziativa: «Non mi è parso superfluo dir questo al benigno lettore, pel caso che il presente volume trovasse qualcuno che volesse giudicarlo non soltanto come un libro destinato ai bambini, ma anche come opera d’arte». Un appello accorato e decisivo, quello dello scrittore nativo di Mineo, a non gettare mai la spugna dinanzi alla presunta irrealizzabilità delle utopie, a coltivare attitudini propositive laddove l’aridità pare occupare la scena. È la meraviglia della creatività messa al servizio degli altri, di un arcobaleno di colori che strappa chi lo contempla al grigiore della rassegnazione. Per questo motivo l’eco dell’opera di Capuana giunge ancora al nostro cuore con rinnovata forza: perché l’esigenza di sentirci puri e slegati dalla tristezza, rigenerati e sorpresi, non ha tempo. Come le fiabe.

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