Il poliedrico regista torinese, ospite all’Università di Catania, ha raccontato la sua esperienza alla regia del dramma di Euripide, che il 9 maggio, al Teatro Greco di Siracusa, inaugurerà la cinquantacinquesima stagione della Fondazione Inda

[dropcap]L[/dropcap][dropcap]’[/dropcap]aria elegante da dandy inglese, lo sguardo fiero, le idee chiare, non solo sul palcoscenico ma anche nella vita; orgoglioso sostenitore del Toro e artigiano dell’arte, come lui stesso ama definirsi, è così che in poche battute si può descrivere Davide Livermore. Il regista è in prova in questi giorni al Teatro Greco di Siracusa, dove il 9 maggio inaugurerà la cinquantacinquesima stagione della Fondazione Inda con Elena di Euripide, interpretata da Laura Marinoni. «Con la signora Marinoni ci siamo incontrati al Teatro alla Scala lo scorso dicembre per l’Attila (l’opera di Giuseppe Verdi, la cui regia è firmata dallo stesso Livermore, costituisce il secondo titolo della “trilogia risorgimentale” voluta da Chailly che ha inaugurato la stagione scaligera 2018, ndr) – racconta l’artista torinese – dopodiché l’ho invitata a leggere il testo e da quel momento l’ho volutamente abbandonata. Si è trovata da sola ma di fatto non lo era: io le camminavo sempre dietro. La reputo un’artista straordinaria con un grande cuore, forte sensibilità e coscienza verso il testo ma avevo bisogno, per realizzare lo spettacolo così come l’avevo pensato, che uscisse dalla sua zona di sicurezza. Il giorno di Natale le ho mandato un messaggio con scritto “You’ll never walk alone”, una frase che ho ripreso dal coro intonato dalla curva Kop del Liverpool nella canzone “Fearless” dei The Pink Floyd». Da questa frase ha inizio la complessa macchina creativa della tragedia euripidea che manca dal palcoscenico siracusano da quarant’anni.

«In Italia, quando andiamo a teatro, abbiamo sempre un grande pudore per la risata, siamo liberi, pieni di cultura ma aprire il cuore e l’anima è sempre complicato»

ARMONIA AL SERVIZIO DELLA POESIA. «Elena – spiega Livermore – è un crossover incredibile, ci trovo l’archetipo dell’opera buffa settecentesca; gli straordinari ariosi noti anche come tempo dell’anima e i ritmi dell’azione. È una sorta di dramma giocoso in cui oltre a piangere si riderà. In Italia, quando andiamo a teatro, abbiamo sempre un grande pudore per la risata, siamo liberi, pieni di cultura ma aprire il cuore e l’anima è sempre complicato. Come per la lirica anche qui mi sono messo al servizio del testo». Un percorso certamente più complesso rispetto a quello affrontato da alcuni suoi colleghi: «Oggi funzionano meglio le furbate, si può scegliere di far compiere una violenza sessuale in scena o far entrare una Harley-Davidson al solo scopo di stupire e far parlare di sé. Io preferisco raccontare la storia ed eventualmente usare questi elementi se sono funzionali al testo». Per nulla nuovo ai dislocamenti temporali, com’è avvenuto anche con Attila, ambientata nel Novecento, l’Elena viene collocata in epoca pre-vittoriana, momento in cui si afferma il neoclassicismo e l’Occidente si riappropria della cultura antica. «I Vespri siciliani che ho portato in scena in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nel 2011, li ho ambientati ai giorni nostri non per fare scandalo ma perché era la volontà dell’autore, lo stesso Giuseppe Verdi voleva smuovere la politica della sua contemporaneità. L’unica differenza è che allora eravamo sotto il giogo straniero, oggi siamo succubi della televisione, della politica senza faccia e delle connivenze. Se l’autore o il testo non richiedono una lettura attuale, allora non funziona. La Tosca con la quale aprirò, per il secondo anno di fila, la stagione della Scala sarà ambientata nel 1800: l’urgenza di Puccini, infatti, era quello di raccontare un triangolo amoroso perfetto in quel determinato contesto storico e di fare della partitura, come in altre sue opere, uno storyboard cinematografico».

Le prove dell' "Elena" (Foto di Maria Pia Ballarino)
Le prove dell’ “Elena” (Foto di Maria Pia Ballarino)

TRADURRE SENZA TRADIRE. Se a reggere le fila di tutto è il testo, la difficoltà nell’approntare la regia di un’opera in greco antico è senza dubbio la traduzione: «Il punto di forza della versione di Walter Lapini è legato al fatto che presenta degli aspetti per nulla compiaciuti né banalizzati nella modernità – sottolinea – avevo bisogno di poesia e lui me l’ha data. Qualche tempo fa ho fatto ascoltare al rapper Willy Peyote “Lascia ch’io pianga” e lui commosso mi ha detto: “le parole sono bellissime”. Io ho risposto: “è italiano, comprensibile né troppo aulico né volgare”. Ho bisogno di cose semplici che si capiscono». Prima di Euripide già Stesicoro parlava del tema di una doppia Elena, la tragedia quindi rappresenta il riscatto di un personaggio a lungo considerata nefasto, non dimenticando che fu a causa della bellezza di Elena che Paride la rapì a Menelao causando la guerra che a lungo insanguinò Troia: «La stessa Elena entrando in scena racconterà che il suo doppio non era altro che un fantasma fatto di cielo. In Euripide inoltre è forte il tema della non violenza, ci sono battute bellissime di stampo antimilitarista».

«L’acqua fa parte di un percorso di ricerca in cui la parola è sostenuta dall’armonia e ci permette di capire se intonarla o pronunciarla con una differenza espressiva e non tecnica»

SCENE DAL MITO. «Ho fatto proseguire la gradinata in modo che lo spazio scenico reale allagasse il teatro, dopodiché ho creato sul palcoscenico una piscina. L’acqua diventa così il luogo della memoria di Elena dalla quale affiorano pezzi del vecchio mito. Ci sarà la prua di un brigantino inglese del primo Ottocento, un albero spezzato a metà e la tomba inclinata di Proteo che affiora». Livermore ha inoltre immaginato il palcoscenico come un grande strumento musicale pieno di sensori che s’innescano con il movimento dei piedi restituendo il suono, sotto finale inoltre l’acqua s’integrerà all’arioso con il quale si annuncerà l’ingresso dei Dioscuri. «L’acqua –ci tiene a spiegare – fa parte di un percorso di ricerca che da sedici anni porto avanti con il compositore Andrea Chenna. Si tratta di una forma di sperimentazione in cui la parola, come avveniva nell’opera fiorentina di fine Cinquecento, in quella mantovana del primo Seicento o in quella veneziana di metà XVII secolo, è sostenuta dall’armonia e ci permette di capire se intonarla o pronunciarla con una differenza espressiva e non tecnica. È doveroso in un teatro antico avere a disposizione tutta la tecnologia possibile perché gli stessi greci erano innovatori, basti pensare alle maschere di rame che utilizzavano, ai trombini che variavano per dare diverso colore alle voci dei personaggi, alla proiezione e al riverbero che ricercavano con grande interesse».

«Mi piacerebbe che il lavoro di un artista venisse valutato per la sua onestà intellettuale, anche se questo accade di rado»

ARTE PER TUTTI. A stupire, oltre alla grandiosità della sua visione registica, sono le idee sul mondo dell’arte: «Mi piacerebbe che il lavoro di un artista venisse valutato per la sua onestà intellettuale, anche se questo accade di rado». L’artista si scaglia contro le trovate pubblicitarie becere soprattutto di certi registi tedeschi e contro la politica che ferocemente taglia i contributi alla cultura, restituendo allo spettatore la posizione preminente. «Il ruolo di un artista in una società è quello di avere il senso della memoria profonda – aggiunge – ed è questo che crea identità e futuro, anche se questo Paese merita solo un museo all’Alzheimer, con grandi stanze bianche in cui sentire tutto il dolore di eventi devastanti come l’agguato di via Fani o la strage di Capaci che abbiamo totalmente rimosso». Rivolgendosi infine ai ragazzi lancia un appello, quello di studiare musica partendo dal solfeggio e di entrare in un coro, anche composto da pochi elementi: «Sarà la più grande lezione di democrazia alla quale possiate assistere, in cui siete chiamati a prendervi la responsabilità di inserirsi al momento giusto perché altrimenti l’armonia si sfalda e in cui il vostro ego viene messo al servizio della musica e degli altri interpreti».

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