Lo psicologo Pellai: «Il sesso dell’era di internet che rende i ragazzi infelici»
A guardare la disinvoltura con cui i giovani fanno uso del linguaggio legato al tema della sessualità, sembrerebbe che la loro conoscenza della materia sia sufficiente per permettergli di compiere scelte consapevoli. Tuttavia, una recente ricerca condotta da Durex in collaborazione con Skuola.net e con il supporto di EbiCo – una cooperativa sociale Onlus riconosciuta come spin-off accademico dell’Università di Firenze – traccia un quadro ben diverso: lo studio rivela infatti che solo il 43,4% dei giovani utilizza il preservativo, e il 55,6% di chi è attivo sessualmente tra gli 11 e i 13 anni non utilizza metodi contraccettivi. E se, come nota ancora lo studio, quasi la metà di loro si rivolge ad internet per sapere di più su come funziona il proprio corpo, queste incertezze sono parte di una problematica ben più complessa. Ne è convinto, Alberto Pellai, medico e ricercatore dell’età evolutiva, autore di diversi libri sulla crescita che abbiamo recentemente incontrato a Catania dove di questi temi ha discusso con un pubblico di genitori e insegnanti. «Per i giovani la sessualità – spiega Pellai – è stata spostata dal territorio relazionale, cioè dalla progressiva ricerca dell’altro che genera intimità e adultizza, verso la mera dimensione pornografica. Educare alla sessualità, quindi, non vuol dire soltanto farlo in relazione all’esperienza del corpo ma anche a quella delle emozioni, della relazione e dell’intimità».
Dottore, come vede oggi la relazione dei giovani con il sesso?
«È una sorta di beauty farm: l’altro è uno che scopri su Tinder, con cui entri in rapporto per la ricerca del piacere e poi torni a casa a dormire nel tuo letto. È un dispositivo eccitatorio. Il video pornografico stesso è solo azione, mentre la sessualità è dentro una relazione che germoglia: quel gesto lì, che se guardi in quel minuto e mezzo è un video pornografico, ha un prima e un dopo. Ed è questo a dare valore».
Qual è il rischio di questa beauty farm?
«Ipertrofizzare l’io e perdere la dimensione del noi. Il rischio è considerare l’amore un ingombro nella nostra vita anziché un percorso capace di condurci davvero verso una felicità più complessa, anche più faticosa ma più soddisfacente. Spesso gli adolescenti non hanno come obiettivo la coppia amorosa ma l’esperienza. Quel gesto non è solo fecondazione e piacere, è relazione, è significato».
A cosa è dovuto questo scollamento tra sesso e affettività?
«Questa è la prima generazione di giovanissimi che deve tenere in piedi vita reale e vita virtuale, due sfere che richiedono competenze diverse: a differenza della prima, in quella virtuale non sperimentano un progetto educativo ma sono soggetti del mercato, consumatori. Così vivono nel flusso di quel che accade in un qui e ora caotico che li porta a percepire sé stessi con difficoltà».
Quanto è facile per un ragazzo o una ragazza scambiare l’esperienza estemporanea per un momento di felicità?
«Da medico mi chiedo perché i medicinali più consumati siano gli antidepressivi: addormentarsi al di fuori di quel progetto d’amore inteso come nucleo generativo della propria esistenza fa sentire tristi e soli. La ricerca della felicità è ricerca dell’incontro con l’altro, non un prendere e poi tornare a sé stessi. La nostra felicità non è mai dentro la solitudine ma nella dimensione interpersonale, progetto culturalmente faticoso. Nell’ultimo libro che ho scritto con Barbara Tamborini, “Appartenersi”, partiamo proprio da questa domanda: l’amore nella nostra vita è una delle tante stanze in cui possiamo entrare o è la casa che dà forma a tutte le altre stanze del nostro esistere?».
C’è un’età giusta?
«C’è un’età sbagliata. Il cervello stabilizza le sue funzioni tra 16 e 20 anni. E la legge tutela l’immaturità cognitiva: per chi ha 18 anni e un giorno fare sesso con chi ha meno di 14 anni è reato. Eppure, a 14 anni posso essere alto 1,80 metri oppure avere il ciclo. Sono per questo pronto? D’altronde, non diamo la macchina in mano a chi è alto, ma la diamo a chi è maggiorenne. Anche dare in mano a qualcuno il nostro corpo, che ha un grande potere, ha senso quando abbiamo raggiunto la maturità cognitiva. Poi è vero che il corpo a 12-13 anni è pronto per l’accoppiamento. Il punto è che servono competenze non corporee ma mentali. Il cervello che sente deve essere ben integrato con il cervello che pensa».
Come è possibile, dunque, permettere ai più giovani di riscoprire una sessualità più completa?
«Bisogna infrangere il tabù del sesso attraverso un approccio narrativo, condividendo storie e facendo rete, tra insegnanti, genitori, professionisti e ragazzi. D’altra parte, è forse meglio se apprendono da soli, dai social o dai motori di ricerca? Le parole generano significati quindi se un fenomeno non lo chiamo per nome, se non lo definisco, non ho neanche strumenti per viverlo con consapevolezza».
Lei è padre di 4 figli. Quanto la sua esperienza da genitore influenza la sua professione?
«È una grande risorsa: molto di ciò che affronto nel mio lavoro lo affronto nella quotidianità, così riesco ad identificarmi con le sfide che i genitori mi portano e a condividere con loro le mie esperienze. E se c’è qualche consiglio che non riesco io per primo a mettere in pratica non lo condivido con gli altri genitori».