Il giurista e giudice emerito della Corte costituzionale ci offre la sua prospettiva sulle ricadute dell’emergenza Covid-19 sulle istituzioni e valori democratici del nostro Paese

Le settimane di emergenza che abbiamo attraversato hanno messo a dura prova la reattività e la tenuta del nostro sistema legislativo, nonché la garanzia di diritti costituzionali che davamo per assodati. In merito a questi aspetti, abbiamo chiesto il parere autorevole di Sabino Cassese, giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale.

Nel 1968, una frase di Albert Camus recitava: «Siate realisti, desiderate l’impossibile». Riguardo a questo momento storico lei ha dichiarato che sarà il momento in cui gli utopisti potranno diventare realisti. Che tipo di futuro ci aspetta e che tipo di utopia vorrebbe vedere?
«Comincio dalla società. Una società che diventa comunità, meno divisa sugli aspetti di superficie, più attenta a quelli di fondo. Poi, una politica che guardi al futuro, proponga programmi invece di fare scaramucce. Poi, governi che abbiano maggiore stabilità, con persone più competenti e con esperienza. Infine, una amministrazione con persone scelte sulla base del merito, non per appartenenze e lealtà politiche. Sto proponendo il paradiso in Terra?».

Negli ultimi anni, il riaccendersi dei nazionalismi ha fatto sì che si parlasse spesso della fine di un sogno, quello di un’Europa politica e non solamente economica. Oggi assistiamo al suicidio della democrazia ungherese, alla mancanza di una politica comunitaria condivisa e solidale nell’affrontare la minaccia sanitaria. Siamo sull’orlo del baratro, oppure superata la crisi, l’Europa sarà l’unica àncora di salvezza per i suoi stati membri in un nuovo contesto globale?
 «È chiaro che l’Europa è la nostra àncora di salvezza: che cosa conterebbe l’Italia, da sola, in un mondo dominato da giganti? Ed è chiaro che l’Europa “vive di crisi”, come hanno detto due giganti – se paragonati ai politici di oggi – come Schmidt e Monnet. Le crisi servono, ma vanno sfruttate. I nuovi assetti sono costituiti dalle soluzioni alle crisi. Ad esempio, è chiaro che in questi giorni è in gioco la soluzione della zoppia europea, quella derivante dal fatto che l’Unione governa la moneta, ma non il bilancio (entrate-spese)».

L’emergenza coronavirus ha messo in evidenza i limiti di gestione da parte delle nostre Regioni e una certa incapacità del Governo centrale nel coordinare gli interventi. Si tratta di una mancanza di carattere amministrativo/politico o è il nostro apparato normativo a non essere equipaggiato per gestire la ripartizione delle competenze? Nell’Italia del dopo-Covid sarà necessario ripensare il rapporto tra Regioni e Stato?
 «Anche un infante capisce che dinanzi a una pandemia, che riguarda tutto il pianeta, Fontana e Zaia non bastano, che deve intervenire lo Stato. Costituzione e leggi prevedono che sia lo Stato che deve intervenire. Tuttavia si è preferito navigare sotto bordo, con interventi statali, ma permettendo alle Regioni di conquistare il loro piccolo palcoscenico. Un governo centrale più maturo avrebbe dovuto prendersi tutti i compiti e tutte le responsabilità. Le aziende sanitarie sono terminali operativi di un servizio che si chiama nazionale».

Lei ha sottolineato la poca chiarezza degli ultimi proclami dei nostri governanti, spiegando l’importanza di essere intellegibili dall’uomo comune in un momento come questo. Ma, al di là della legislazione d’emergenza, a suo avviso andrebbe cambiato l’approccio alla scrittura delle leggi in generale? Ed eventualmente, in che modo?
«I modi sono stati spiegati e rispiegati. Ci sono manuali, anche governativi, su come si scrivono le leggi. Andrebbero cacciati con ignominia coloro che scrivono queste norme incivili, nelle quali essi stessi non capiscono nulla»

Attualmente sono state sospese alcune nostre libertà. Sulla scorta di questa esperienza, ritiene probabile che vengano avanzate delle proposte di modifiche alla nostra costituzione? Sarebbe auspicabile?
«Non c’è alcun bisogno di modifiche costituzionali. Occorre soltanto che gli organi di garanzia vigilino, Presidente della Repubblica, Parlamento e Corte Costituzionale. Piuttosto sarebbe stato necessario porsi qualche domanda: perché, ad esempio, lo strumento fondamentale di intervento è stato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e non il Decreto Presidenziale?»


L’articolo che avete letto proviene dall’ebook “Il giorno dopo. Visioni del post pandemia“, a cura della nostra redazione con contributi di personalità come Ferruccio De Bortoli, Jeff Jarvis, Derrick De Kerckhove e altri. La pubblicazione è disponibile gratuitamente a questo link

 

 

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