Ossario, la seconda prova di Felice Briguglio, in arte Marsili, è un album che nasce da un’urgenza: «Quella di definire il vero Marsili», spiega l’autore. «Nel precedente Aut de gamme, pubblicato nel 2019, ho messo pezzi accumulati nel tempo, che mi sembravano già vecchi quando sono usciti. Appena mi sono liberato da quella zavorra, è scattata in me qualcosa che mi ha dato una nuova spinta creativa».

Seduto alla chitarra o alla batteria-giocattolo nel tempo lasciatogli libero dagli impegni familiari e di lavoro, Felice Briguglio ha ammassato un altro centinaio di brani. Finita la sperimentazione e l’incoscienza, tra la fine dei vent’anni e la conquista dei quaranta ci passa l’importanza di un nuovo titolo, Ossario, appunto, che comunica premura di dire e voglia di smetterla con i compromessi. Se Aut de gamme si sbarazzava di canzoni e poesie raccolte in oltre vent’anni, in Ossario riaffiora la memoria, tornano alla mente ricordi personali, d’infanzia, familiari che sembravano dispersi. «Ho raccolto ciò che è sacro e non aveva trovato un posto importante dove essere conservato». Un Ossario, appunto.

Questo dà il valore alle dieci canzoni contenute nell’album pubblicato dalla ViceVersa. Dieci provini registrati in casa diventati pietre preziose. «L’idea partiva dal country, da Harvest, Neil Young, dal primo Bob Dylan», racconta Briguglio. «Poi l’orecchio affinato di Enzo Velotto e gli illuminanti consigli di Michele Musarra, che hanno aggiunto archi, basso, programmazione, e curato gli arrangiamenti, hanno aggiustato la traiettoria, favorendo una lettura trasversale della canzone d’autore: una scrittura italiana immersa in sonorità internazionali».

«La lettura del libro di Rimbaud ha rappresentato una svolta per me. Ma non solo i poeti maledetti francesi, hanno avuto un ruolo importante anche siciliani come Bufalino, Consolo e soprattutto Sgalambro»

Il disco suona essenziale, particolarmente coerente, ed esprime bene nei suoni, nell’approccio, nell’intenzione della scrittura, una ragionevole versione della canzone d’autore adattata ai nostri tempi, nel solco di quell’“it.pop” tracciato da gente come Colapesce, Motta, Brondi. Marsili spara con la sua chitarra cartucce poetiche ispirate dalla letteratura francese e siciliana. Una stagione all’inferno di Arthur Rimbaud, dal quale è nata la canzone finale Arturo, è una delle letture che hanno orientato il lavoro del cantautore di Belpasso. Come il poema del poeta francese, Ossario è il viaggio dentro il mondo di un soggetto smarrito che “guardo allo specchio e vedo tutti i miei errori” (canta in Campane), sperduto nel cielo a bordo di un pallone aerostatico (Mongolfiera, il singolo dal climax anni Sessanta). Un uomo che immaginava nel futuro di viaggiare su astronavi e che invece ascolta il tuono dei cannoni, riscoprendo ataviche paure: “Se il mondo faceva sempre più paura / Se il pieno costava ogni giorno sempre di più / e al bowling non si gioca più”, canta in Rena, descrivendo uno scenario distopico della Plaja catanese, reminiscenza di Questa notte l’amore a Catania di Cesare Basile, il primo che ha creduto in Marsili.

«La lettura del libro di Rimbaud ha rappresentato una svolta per me, come Viaggio al termine della notte di Céline», sottolinea Briguglio. «Ma non solo i poeti maledetti francesi, hanno avuto un ruolo importante anche siciliani come Bufalino, Consolo e soprattutto Sgalambro, con il suo concetto sulla nostra natura insulare, il nostro travaglio perenne». E sembra tratto da un testo del filosofo di Lentini la strofa di Ossario che recita: “Ciechi acrobati / la nostra spada è il pendolo / Andiamo dove ci conviene /iene filosofi / Così parlò la biologia / Ho fame oppure ti voglio bene?”. «Senza dimenticare Salvo Ladduca dei Nazarin», aggiunge Marsili. «Il suo album La mattanza dei diavoli ha una scrittura grandiosa che è stata tra le mie influenze e mi ha aiutato a credere nel mondo che stava affiorando».

«Come fanno ad arrivare le canzoni? Dipende da quanto si è disposti ad accoglierle. Bisogna lasciarle viaggiare per raggiungere il cuore… Le orecchie è facile raggiungerle, il cuore meno»

Malinconia, nostalgia e disillusione sono le compagne di viaggio di un “sopravvissuto ai fendenti di aureole di santi, vedove nere, professionisti del debito” e che ancora oggi combatte contro gli sgambetti del destino e in Solo si rivolge al figlio spronandolo: “Se vuoi arrivare alla fine tu non ti arrendere”. Felice, come papà, non demorde e continua a credere nel suo bimbo di 6 anni che accusa un ritardo nel linguaggio e difficoltà relazionali, forse legato al periodo che stiamo attraversando. «Quando riascolto la canzone mi sembra di avvertire qualcosa in comune con Rockin’ in the free world di Neil Young, una cavalcata sulle roots americane».

Il “ragazzo che aspettava tempi migliori” crescendo nella campagna del nonno in contrada Valcorrente, a Piano Tavola, circondato dall’affetto di tre sorelle («mia madre e le sue sorelle»), ancora ingenuamente si chiede: “Come fanno ad arrivare le canzoni?”.

«Dipende da quanto si è disposti ad accoglierle», si risponde. «Bisogna lasciarle viaggiare per raggiungere il cuore… Le orecchie è facile raggiungerle, il cuore meno».

Allora non vi fermate al primo ascolto, lasciate scorrere Ossario uno, due, tre, più volte… Alla fine vi colpirà nel profondo del cuore.

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