Luigi Lo Cascio: «Il mio Aiace eroe caduto dai tratti umani»
Era il 1967 quando Ghiannis Ritsos iniziò la sua stesura del mito di Aiace, completata poi due anni più tardi; in quello stesso periodo nasceva a Palermo Luigi Lo Cascio. Una connessione quasi astrale che a cinquantatré anni di distanza ritorna. Sarà, infatti, con il personaggio del re di Salamina, nella versione approntata dallo scrittore greco, che il noto attore, premiato di recente al David di Donatello per la sua interpretazione nel film di Bellocchio Il traditore, dove veste i panni del collaboratore di giustizia Totuccio Contorno, calcherà questa sera per la prima volta il palcoscenico del Teatro Greco di Siracusa.
Oltre a Sofocle anche Pindaro, Ovidio e Foscolo hanno narrato la figura di Aiace. Quali differenze ha rintracciato nella versione di Ritsos?
«Intanto nella struttura, nel senso che nella tragedia sofoclea ci sono diversi personaggi mentre Ritsos scrive un monologo e poi anche nel modo in cui si sviluppa l’azione, perché la vicenda continua anche dopo la morte di Aiace con un lungo discorso attorno alla sepoltura. Il testo è fortemente incentrato sull’onore, sull’onta subita, sul fatto di essere diventato ridicolo agli occhi degli altri eroi. Da qui scaturisce la decisione di uccidersi per riscattare la sua reputazione».
Al centro dell’opera c’è dunque solo il re di Salamina?
«È lui solo a parlare ma in scena c’è un interlocutore silenzioso, in realtà forse sono due: la moglie Tecmessa e un bambino. Approfittando di un barlume di luce che fuoriesce da un momento di pausa dalla follia, in un istante di grande lucidità, l’eroe fa delle riflessioni sulle motivazioni che nella tragedia di Sofocle lo spingono al suicidio, superandole. È come se in Ritsos venisse ridimensionata l’importanza dell’eroismo collegato al coraggio, allo scontro, alla violenza. Nella ferita, nell’indebolimento, nella caduta, il re sperimenta sentimenti dell’uomo poco eroico, poco glorioso ma anche meno fanatico rispetto a tutti quei valori che lui ha superato definitivamente».
Ci troviamo di fronte a un uomo che potremmo definire moderno, che si sente inadeguato al mondo a causa delle scelte compiute dagli dei.
«Pur essendo scritto da un poeta contemporaneo, il testo contiene però alcune parole dette in altre tragedie, ma anche il senso di smisurata grandezza dell’uomo viene ridimensionato, laddove si sottolineano i suoi limiti. Steso a terra, dopo la strage, in una condizione di riflessione, quasi di meditazione, il valoroso guerriero acheo capisce di aver peccato di tracotanza. Ritsos si focalizza così sull’uomo, sul dolore, sulla vita e la morte».
Ad accompagnare la lettura ci sarà la musica di G.U.P Alcaro. Che ruolo rivestirà nello spettacolo?
«La musica è presente sin dall’inizio, non solo come intermezzo. Il tentativo è quindi verso qualcosa che possa somigliare a un concerto. La voce del poeta accadrà dentro un’atmosfera musicale che certe volte prenderà il sopravvento, diventando a sua volta autonoma. Approfittando poi del fatto che Aiace sente le voci, la parola si sdoppia, si moltiplica come in molte patologie della psiche, ci saranno voci del passato e del futuro. In questo senso la musica diventa anche la mente di Aiace che esplora lo spazio intorno a lui».
Come affronterà questa lettura così intesa?
«Il mio atteggiamento è di mettermi di fronte alla pagina dimenticando quello che ho appreso durante i giorni di prova per ritrovarmi, come sempre accade quando si legge, impreparato di fronte all’inaspettato della parola poetica. Così, aprirò il copione e vedrò di fare affiorare i versi secondo la mia sensibilità, secondo quello che succede in quel momento e all’atmosfera che si creerà in questo luogo magico».
È la prima volta che calca il palcoscenico dopo il lockdown?
«No, no, ho già fatto delle letture al Franco Parenti di Milano e a Recanati, però il teatro greco di Siracusa è un luogo per me particolarmente importante, che spalanca memorie. Sin da quando sono uscito dall’Accademia, ho pensato al mondo classico e anche le cose che ho scritto per il teatro sono tratte quasi sempre dalla tragedia, quindi per me sarà particolarmente emozionante».
Non solo attore ma anche scrittore, ha firmato molti testi drammaturgici e l’anno scorso è arrivata la pubblicazione del suo primo romanzo, Ogni ricordo un fiore, edito da Feltrinelli. Cosa l’ha portata a mettersi alla prova con la narrativa?
«Ho fatto il classico, frequentavo medicina ma inizialmente non sapevo cosa significasse leggere, l’ho capito facendo l’attore. Nel momento in cui mi sono immerso nei testi, mi è venuta voglia di scrivere, di rispondere ai capolavori che leggevo, che mi stordivano e mi facevano sentire soggiogato alla bellezza. La risposta arrivava inizialmente in forma di appunti, poi di pensiero che nasce, infine si sono sviluppate delle scritture drammatiche vere e proprie. Scrivendo per il teatro, facendo le traduzioni, realizzando una sceneggiatura per il cinema mi sono appassionato anche alla forma narrativa. Inizialmente non ho mai presentato i miei scritti agli editori, ma quando ho capito che questo romanzo poteva interessare non solo me ma anche gli altri, l’ho proposto alla Feltrinelli che ha deciso di pubblicarlo».