“Sei bella ma cretina”. No, nessun riferimento alla pupa di turno di qualche reality show. La “lei”, in questo caso, non è neanche una donna. È una città: Siracusa. Che vuole “assomigliare a qualcosa che invece fa schifo”, canta Marco Castello in Contenta tu, brano che dà il titolo al suo album d’esordio.

«Siracusa si culla sugli allori e non fa niente per cambiare. Anzi, ambisce a modelli da evitare da città super-turistica», è l’atto di accusa dell’autore. «Sembra soffrire del complesso d’inferiorità e punta a imitare Miami Beach, Rimini, Riccione. Dovrebbe avvenire al contrario. Si demoliscono le cose belle, favorendo il declino e la perdita d’identità».

Marco Castello nella città di Archimede c’è nato, 27 anni fa. E Siracusa è sempre presente nell’album, sin dalla copertina, in cui si vede il cantautore sott’acqua a bordo di un rottame e sullo sfondo lo skyline della città dominata dal cono di cemento armato del Santuario della Madonnina delle lacrime. «Sembra un occhio di Sauron che torreggia su tutto», ironizza. «È un buon esempio delle contraddizioni che hanno ispirato gran parte delle canzoni che stanno dentro il disco».

Ciuffo riccio ribelle, Marco ha tentato di scappare da Siracusa. Come tanti, al termine del liceo, ha cercato la sua terra promessa a Milano. Per quattro anni ha frequentato la Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado”, dove si è diplomato in tromba jazz, portando a compimento i sogni di una famiglia che aveva la musica nel sangue: «Mio padre suonava la batteria, mia madre la chitarra e cantava, tutti i miei fratelli avevano uno strumento. Ma tutti a livello amatoriale. Anch’io a 10 anni fui iniziato alla tromba nella banda comunale di Siracusa». Marco, invece, della musica voleva farne una professione.

Al termine degli studi, però, l’amore per Milano e la tromba cominciò a vacillare. «Mi ero disamorato del mio strumento, forse perché non ero riuscito a ottenere i risultati ai quali ambivo». Marco sognava una grande orchestra, grandi arrangiamenti. Torna così a Siracusa, appende la tromba al chiodo e conserva in un cassetto il diploma, per indossare il grembiule da cameriere e servire panini e birra nei locali della movida. «Ho cominciato a lavorare in un pub a Ortigia», continua nel racconto. «Pensavo di raccogliere un po’ di soldi e di andare ad Amsterdam per iscrivermi a un Conservatorio per musiche da film».

La copertina di “Contenta tu”

È nelle sere d’estate a Ortigia, alla chiusura del locale, che Marco comincia a frequentare un gruppo di amici e musicisti. «Si riunivano nelle piazzette per suonare fino a notte fonda. Erano diventati dei punti d’incontro anche per i turisti, che spesso si aggregavano». Ed è in una di queste jam session notturne che Marco conosce Erlend Øye, l’anima norvegese dei Kings of Convenience che da quasi dieci anni ha scelto di vivere in riva al mare sulla costa della Pillirina. «Dapprima s’incuriosì, poi cominciò a piacergli», ricorda Castello. «E una sera ci disse che doveva andare in tour in Sudamerica. Avrebbe dovuto farlo da solista, ma gli sarebbe piaciuto se noi lo avessimo accompagnato. Ovviamente, gli dicemmo di sì». Nasce così La Comitiva, che già dal nome rispecchia il carattere goliardico e amichevole del progetto. «Che ancora continua, tant’è che mi trovo a casa di Erlend per completare alcune nuove composizioni, gran parte orchestrali, colmando così il mio desiderio di scrivere colonne sonore», sottolinea il cantautore.

È durante il tour con La Comitiva che il ventisettenne siracusano comincia a buttare giù le sue prime canzoni. Che arrivano alle orecchie di Erlend Øye. «Fu lui a propormi di registrarle», continua Castello. «Andammo a Berlino e quei provini diventano dodici canzoni, dieci delle quali sono finite nel disco».

Contenta tu esce il 5 febbraio per la 42 Records, l’etichetta che ha in squadra un altro siracusano: Colapesce. Anche lui importante nella formazione di Marco Castello. «Dopo aver ascoltato Infedele, ho trovato il coraggio di scrivere in italiano», confessa. «Io non avevo mai cantato, ho sempre solo suonato. E quando ho cominciato a scrivere lo facevo in inglese, mai in italiano. Colapesce è anche l’unico artista “indie” che mi è sempre piaciuto. Da aspirante jazzista ho guardato sempre con distacco al mondo “indie”, per quell’aria universitaria e intellettuale che ha, mentre la loro musica è di una estrema semplicità». “L’indie mi fa cacare” canta senza mezzi termini in Villaggio.

Dalla musica indipendente, tuttavia, Marco Castello ha attinto i riferimenti “local” e l’uso del gergo dialettale. Per la prima volta, infatti, termini tipici del siracusano entrano nella musica: “torpi” –  ovvero cafoni, tamarri, coatti – dà il titolo a un brano che nel refrain danzereccio riecheggia l’Alan Sorrenti di Figli delle stelle. E poi “avà” (avanti), “ti aurti” (ti offendi, non ti va), sino alla chiusa “a luci rosse” di Dopamina. E poi i riferimenti a luoghi e quartieri della città aretusea: il Villaggio Miano, le raffinerie, la fiera del Sud nel disco; la pista ciclabile, Ortigia e la Tonnara di Santa Panagia sulle copertine dei singoli. “Andiamo a surfare a Villaggio Miano / passiamo sotto le mura / buttiamo le bombe alla Fiera del Sud / la strada è allagata accura / sgummiamo sulla frittura”, canta in Villaggio.

«È vero, è un ammiccamento all’“indie”, al voler mettere in rilievo il “local”, una sorta di identificazione territoriale», precisa. «Dal disco dei Cani in poi ci sono queste continue citazioni di città, quartieri, luoghi noti solo in una determinata comunità. Anche a me piaceva portare fuori qualcosa di locale. Soprattutto, non volevo scrivere in modo diverso da come parlo».

L’influenza di Colapesce si avverte anche nei testi, surreali, grotteschi e divertenti, che richiamano il Lucio Battisti del dopo Mogol, quello delle liriche di Pasquale Panella, punto di riferimento dell’autore di Totale. Giochi di parole, assonanze, aforismi che poggiano sulla quotidianità, sul fluire libero della parola, in cui l’aspetto sonoro ha grande importanza. Marco Castello ammette «l’imprinting vocale e nei testi» di Battisti, così come nelle sonorità l’influenza della black music che affiora in molti brani, dalla già citata Torpi al soul-funky di Palla e di Addiu, tutta in dialetto. Fa più volte capolino anche Brunori Sas (Cicciona e Luca), si riscopre Fabio Concato in Porsi, mentre una deliziosa atmosfera sudamericana accompagna Villaggio.

L’album Contenta tu esce dopo un’attesa di due anni. «La pandemia ha bloccato tutto», si lamenta Castello. «Arrivati a questo punto, abbiamo detto “o la va o la spacca”. Penso che forse soltanto il prossimo anno ci libereremo da questo incubo e io avevo l’esigenza di lasciarmi questo disco alle spalle». Perché già sono pronte nuove canzoni, che sviluppano l’esperienza di Contenta tu e che Marco Castello ha scritto guardando il mare della Pillirina, perché seppur deturpata dalle ciminiere, anche se “non mi innamori più”, Siracusa resta il “posto più bello del mondo”.

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