Partendo da un paesino della costa jonica siciliana, come Torre Archirafi, il borgo sul mare a Riposto, sono tre le vie da seguire per emergere nel mondo della musica. Si può intraprendere il percorso più comodo e veloce, inseguendo le abbaglianti luci dei talent. Oppure quello più tortuoso e avventuroso, abbandonando i propri affetti e trasferendosi al Nord. Davanti a questi bivi Salvatore Mostaccio, in arte Ture Most, anni 31, laurea in Scienze motorie, ha sempre selezionato l’opzione più coraggiosa e ardita: è rimasto nel suo paese natìo «per vedere dove può arrivare un ragazzo di Torre Archirafi». E, soprattutto, per realizzare quel sogno inseguito dal padre Francesco, cantautore, scomparso dodici anni fa.

«Non ti nascondo, però, di aver tentato di imboccare anche le altre due strade», confessa Ture Most, cantautore con il vizietto del rap. «Ho superato le prime fasi per partecipare a “X Factor”, ma ho capito che non faceva per me, ed ho partecipato a “Sanremo Giovani” con la canzone Taboo, non è andata bene. Un’esperienza, la seconda, che mi piacerebbe tuttavia ripetere. Così come ho pensato di trasferirmi a Milano. Mi sono adeguato all’“ideale dell’ostrica” di verghiana memoria, ovvero che è necessario rimanere legati ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare che il mondo, cioè il “pesce vorace”, ti divori».

Ture Most è rimasto attaccato alla Torre, alle radici, alla famiglia, agli amici. Autoproducendo i propri lavori discografici, con la collaborazione di un fidato team, del quale fanno parte il fratello minore R-Most, produttore rinomato che ha lavorato con En?gma, Murubutu e Mattak, la fidanzata Valentina Redi, che si occupa della parte visual (videoclip, foto, copertine), e alcuni amici musicisti. Due album in archivio, Mostalgia nel 2019 e Libra l’anno dopo, e un progetto, Soft drink, appena concluso e composto da tre trittici di canzoni pubblicati con una cadenza mensile.

«Già in Libra, per evidenziare la diversità di stili e generi, avrei voluto dividere l’album in due parti, poi è prevalsa la magia del disco», spiega l’artista etneo. Oggi che quella “magia” è un po’ svanita sotto i colpi dello streaming, Ture Most si è convinto ad abbandonare la forma album per dividere il suo nuovo progetto in tre parti. In pratica tre singoli con due “lati b”. «Questo perché una canzone in mezzo ad altre nove non ottiene la stessa attenzione. I brani di Soft drink ritengo che debbano avere la stessa dignità. Come in un trittico di primi al ristorante, devono essere tutti e tre buoni».

La politica del singolo, come fan tutti, gli stava stretta: «Troppo riduttiva». Così Ture Most ha trovato una mediazione: «È una sorta di concept, non solo perché legato alla numerologia, al 3, che sono anche gli spigoli della Trinacria, sacro e profano, ma perché ogni brano è legato al gusto e al colore di una bevanda. E, alla fine, i nove pezzi complessivi diventano parte di un progetto unico del quale stiamo studiando tutti i dettagli per non perdere l’originalità della divisione in tre parti».

Pop cola, Gazzusa e Sanguigna sono i titoli dei trittici che compongono Soft drink. Cocktail dai gusti diversi. Frizzanti e succosi, divertenti e malinconici, estivi e autunnali, ironici e intimi. Canzoni d’amore e d’impegno. Specchio della varietà di generi, stili e temi fra i quali si muove Ture Most, capace di alternare rap, pop, elettronica, nu-folk e melodia. Prevale l’anima, lievemente nostalgica, del cantautore, segnata dall’«abbuffata di Bob Dylan e Francesco De Gregori, le cui canzoni erano quelle che giravano sempre nel giradischi di mio padre», ricorda Salvo Mostaccio. «Ho visto nei giorni scorsi il concerto di De Gregori a Taormina ed ho pianto per tutta la serata». La canzone d’autore aggiornata a Franco Battiato e Tiziano Ferro e attraversata dalla sbandata adolescenziale per il rap, quando Ture aveva 15 anni. «La mia è una musica di contaminazioni, siamo figli di quello che abbiamo ascoltato».

Musica moderna, urban, fondata sulle radici e sui ricordi. Come Bacilicò, ispirata da una canzone scritta dal padre. O come l’omaggio al compianto Maestro di Milo che chiude l’ultimo trittico. È una cover di Stranizza d’amuri, proposta in modo originale con un filo di autotune. «È il progetto che ha richiesto più tempo», spiega Ture Most. «Due anni fa, in corrispondenza con il mio innamoramento con Valentina, mi proposi di rileggerla alla mia maniera. Speravo anche di arrivare a Battiato per fargli conoscere la mia musica. Stranizza d’amuri ha uno dei testi in siciliano tra i più belli approdati nella grande distribuzione. È una canzone che quando l’ascolto vedo via Roma di Riposto, il vallone della Scammacca… Due anni fa, però, eravamo ancora troppo acerbi. Ci siamo allenati tanto. Volevamo conservare le caratteristiche originali della canzone, inserendo qualche elemento distintivo. Agli inizi di quest’anno abbiamo registrato la versione definitiva… Purtroppo, però, Battiato non l’ha potuta ascoltare… Ti confesso che avevo pensato di sostituirla per evitare di essere accusato di aver tentato di speculare sulla sua scomparsa. Il mio voleva essere un omaggio in vita…».

Fortunatamente Ture Most si è ricreduto e la sua versione di Stranizza d’amuri può essere apprezzata su Spotify, lo strumento, che insieme a YouTube ed i social, è il mezzo di diffusione principale della sua musica. «Oggi tutto passa da lì, da Facebook e Instagram», è l’amara constatazione. «Mi piacerebbe vivere facendo solo musica, ma non è una ricerca forsennata. Altrimenti mi metterei a inseguire le mode e le tendenze imposte dal mercato. Invece intendo tenere il timone di quello che voglio fare».

Per gustare appieno i Soft drink di Ture Most non si può mancare al Ferra-Most del 4 agosto a Torre Archirafi, oppure si può optare per un assaggio l’8 agosto a Catania in apertura del concerto dei Beddi.

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