Stazione ferroviaria di Vienna, prime ore del mattino del 12 Marzo 1938: una donna è in procinto di partire per lasciare definitivamente l’Austria, alla volta di Oslo. In quello stesso giorno i nazisti stanno invadendo i confini austriaci. Poche settimane dopo seguirà anche il referendum-farsa con cui il popolo austriaco e quello tedesco saranno chiamati a votare per l’annessione dell’Austria alla Germania. La donna che è appena salita in treno è Marietta Blau, fisica austriaca, nata in una famiglia ebraica nel 1894. Rara eccezione per quel tempo, in cui l’educazione delle donne aveva termine in genere a 14 anni, Marietta si è preparata agli studi universitari, studiando fisica e matematica all’Università di Vienna, laureandosi nel 1919 con una tesi sul problema dell’assorbimento dei raggi gamma. Ha condotto negli ultimi anni, a Vienna e in altri istituti europei, ricerche avanzate su una metodica di rivelazione delle particelle, e appena un anno fa ha compiuto esperimenti innovativi che hanno contribuito alla conoscenza della fisica dei raggi cosmici, divenendo di fatto un’esperta di queste tecniche di rivelazione delle particelle subnucleari.

La sua carriera aveva avuto inizio dopo un periodo di lavoro in Germania, a Francoforte, dapprima presso una ditta che produceva tubi a raggi X, e in seguito presso l’Istituto di Fisica Medica, proprio per occuparsi delle problematiche relative alle prime indagini radiologiche. Marietta Blau era tornata però a Vienna, nel 1923, a lavorare presso il Radium Institute, uno dei più prestigiosi centri di ricerca sulla radioattività in quel periodo.

Quindici anni ormai di attività… Il treno si è messo in moto, e i pensieri di Marietta vagano tra le vicende di questi ultimi anni – dense di grandi risultati scientifici ma anche di difficoltà, sociali e personali – e l’incerto futuro che l’aspetta. Forse pensa anche alla lettera che appena un mese prima Albert Einstein ha scritto ad alcuni colleghi messicani: “Mi prendo la libertà di portare alla vostra attenzione un caso che mi sta a cuore: la dottoressa Marietta Blau, dal talento eccezionale ed esperta nel campo della radioattività. Per ragioni politiche ben note sarà costretta a lasciare il suo Paese prima o poi. Se riusciste a portarla a Città del Messico fareste un ottimo servizio allo sviluppo della scienza”.

A quel tempo, le opportunità di ricerca per una donna, per giunta ebrea, erano quasi nulle, come le aveva anche detto un suo professore al Radium Institute. Nonostante questo, Marietta Blau era divenuta una pioniera nell’impiego delle emulsioni nucleari, un particolare tipo di lastre fotografiche capaci di rivelare il passaggio delle particelle ionizzanti. Non contenta dei risultati ottenibili, aveva trattato con i principali produttori di pellicole fotografiche, la Agfa in Germania e la Ilford in Gran Bretagna, per far migliorare le caratteristiche di queste lastre, tanto da poter rivelare anche il passaggio di particelle debolmente ionizzanti, aumentando la sensibilità di questi dispositivi: uno dei primi esempi di collaborazione tra il mondo della ricerca e quello industriale, che aveva portato a dispositivi di tipo innovativo per la rivelazione delle particelle subatomiche.

Nel 1937 la Blau, insieme ad una sua studentessa, dopo una campagna di misura condotta in alta montagna, presso l’osservatorio scientifico situato sull’Hafelekar, osservò proprio in alcune di queste lastre, che erano state esposte per alcuni mesi, i primi segni delle interazioni che i raggi cosmici di altissima energia sono capaci di produrre nell’atmosfera terrestre: le stelle di disintegrazione, come vennero chiamate per la loro forma che ricorda quella di una stella con i suoi raggi luminosi: eventi nei quali la particella primaria produceva – per interazione nucleare – molte particelle secondarie che si propagavano giù nell’atmosfera, fino a raggiungere in alcuni casi il livello del mare. I risultati, pubblicati sulla più importante Rivista scientifica, Nature, aprirono la strada alla comprensione dei meccanismi con cui i raggi cosmici interagiscono con la nostra atmosfera e le valsero il premio Lieben dell’Accademia delle Scienze austriaca.

Eppure, Marietta sta andando via da Vienna. Oltre ad essere ebrea, anche l’essere donna non ha giocato a suo favore; le condizioni di lavoro nelle quali dovette operare furono, anche in seguito, sempre precarie. Prima di emigrare, aveva anche trascorso, intorno alla metà degli anni ’30, dei periodi di studio e di ricerca a Göttingen e a Parigi, con Marie Curie, ma al rientro in Austria aveva trovato una situazione sempre più pesante e ostacoli sempre crescenti verso di lei, a tal punto che del suo lavoro e dei suoi risultati si erano sempre più appropriati alcuni colleghi, anche più giovani di lei, ma fedeli al nuovo corso politico.

Dunque, Marietta è pronta a ricominciare tutto altrove, pur di poter continuare a dare un suo contributo alla ricerca scientifica. Il treno la porta verso Oslo, su invito di Ellen Gleditsch, una chimica norvegese che era passata dal Radium Institute poco tempo prima e si era resa conto della situazione sempre più tesa esistente in Austria. Dopo due anni a Oslo, Marietta raggiunge effettivamente Città del Messico, come Einstein aveva auspicato, dal 1940 al 1944, anche qui con qualche difficoltà, fino a trasferirsi poi negli Stati Uniti, per lavorare dapprima nell’industria e poi presso prestigiose università: la Columbia University, il Brookhaven National Laboratory, infine presso l’Università di Miami. Viene più volte nominata per il Premio Nobel, anche con il supporto di illustri fisici, come Schrödinger, ma queste proposte non vengono accettate e lo stesso Cecil Powell, premio Nobel nel 1950 per aver utilizzato proprio quelle tecniche che Marietta Blau aveva messo a punto, non la cita neppure nel suo discorso ufficiale durante il conferimento del premio. Nel 1960 Marietta ritornò al Radium Institute di Vienna, dove continuò a lavorare, ancora una volta in condizioni precarie e con gravi problemi di salute agli occhi derivanti probabilmente dalla esposizione alle radiazioni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1970, in condizioni di solitudine e povertà.

Una storia emblematica da non dimenticare, una storia che non narra tuttavia soltanto delle difficoltà a cui una donna, per giunta ebrea, è andata incontro in quegli anni, ma racconta anche del coraggio, dell’entusiasmo, della passione per il lavoro, della disponibilità a iniziare di nuovo, attraversando le vicende ostili della condizione personale e del suo tempo.

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