Questo contributo è parte di un dibattito scaturito dalla pubblicazione di una lettera aperta del rettore dell’Università di Catania, all’indomani di un tragico evento che ha coinvolto uno studente dell’Ateneo. In questo 2020 i più fragili tra di noi,  dentro e fuori il contesto universitario, rischiano di perdere la speranza nel futuro. Da dove ripartire?

I lettori possono intervenire con le loro lettere, che verranno pubblicate sul nostro sito, inviandole all’indirizzo redazione@sicilianpost.it

«Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira. Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data.Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente in famiglia». Questa l’ouverture del rapporto redatto dal CENSIS nel 2020 e reso pubblico appena qualche giorno fa. Chi potrebbe dissentire su quanto tinteggiato in questo documento? Viene descritta un’Italia che gira tra pesanti tonfi e tentennamenti, dove l’individualismo spinto è sintetizzabile nella formula “si salvi chi può, anche al prezzo della vita dell’altro”. Paura e ansia occupano sempre più la scena e i riflettori sotto i colpi sferzanti di una comunicazione mediatica che consapevolmente o meno, è colpevole di determinare l’umore della giornata di ognuno di noi attraverso il puntuale bollettino della pletora di positivi. 

Ma dentro questo strano guado fatto di torbido terrore e fantasmi che si gonfiano a dismisura, resta saldo il desiderio di custodire il bene incontrato, quello che nella vita si è presentito come promessa di un destino buono. Se non il nostro, almeno quello dei nostri figli o delle persone che amiamo. Chi ama qualcuno lo sa bene. Si può aver perfino schifo di se stessi ma non c’è disamore possibile che sia in grado di strapparci di dosso lo struggimento e il desiderio di bene della persona che amiamo. Chi amiamo costituisce come l’ultimo argine critico all’assenza di tenerezza verso noi stessi.  Questo lo capisce bene chi è padre, madre, fratello, amico. Quando sulla brace c’è il bene di tuo figlio, il bene di chi ami, ti senti convocato, chiamato a rispondere, e forse ancor più a metterti in ascolto, reinventandoti e persino decidendo di cambiare punto di osservazione, convertendo lo sguardo.

L’educazione è la più grande delle partite da cui dipende il futuro di tutti

Questo è un fatto che mi si è di schianto palesato qualche sera fa, partecipando ad un momento di intenso dialogo “virtuale”, condotto dal prof. Luca Luigi Ceriani, psicologo e scrittore di saggi, con diverse famiglie e docenti dell’Istituto Francesco Ventorino di Catania, scuola che fa capo all’omonima fondazione e che nel panorama cittadino, già da molti anni, ha accettato di giocare la grande partita dell’educazione. Forse la più grande delle partite da cui dipende il futuro di tutti. «Educare è il lavoro più coraggioso che si possa svolgere», dichiara apertamente Ceriani nel libro attorno a cui è ruotata l’intera conversazione della serata. Il titolo della pubblicazione è Figli, rischi & villaggio (globale), edizione ARES. Mi preme dire subito che vale proprio la pena leggerlo. 

Il dialogo con Ceriani ha preso le mosse da una domanda semplice e schietta che la preside della scuola ha lanciato nell’agone digitale, dopo aver ascoltato, raccolto e fatto sue, giorno dopo giorno in questi mesi carichi di grandi e umanissime angosce, alcune delle maggiori preoccupazioni di genitori e docenti della scuola. «Di cosa parliamo quando parliamo di salute?». Salute e scuola sono due beni concorrenti? Nessuno potrebbe negare che la salute sia una priorità assoluta e che occorra quindi fare di tutto affinché questo bene venga tutelato dalle istituzioni e garantito a tutti. Il prof. Ceriani, intervenendo su questo, si è soffermato sulla profondità del termine salute accompagnandoci alla sua radice etimologica, con l’intelligenza e la cura di chi non era interessato a fare sfoggio filologico.

L’intero libro del prof. Ceriani è tutto percorso da unica grande domanda: qual è il bene di cui hanno bisogno i giovani di oggi, cioè i nostri figli?

Perché la salute è un bene così prezioso per la nostra vita? Se la vita fosse priva di un senso, di uno scopo, perché preoccuparsi del bene del corpo, e pertanto, su scala macroscopica, degli investimenti su un settore strategico quale è quello della sanità? Si pensi all’accesissimo e attualissimo dibattito sul MES. Il primissimo apporto dell’intervento di Ceriani che trattengo come un tesoro prezioso e che rilancio è l’aver posto il focus su quello che forse è il più grande degli interrogativi umani. La vita ha un senso? Del resto cosa potrebbe voler dire educare un uomo prescindendo da un orizzonte di significato totale della vita? Dalla risposta a tale domanda dipendono tutti i corollari, le prassi personali e le scelte trasversali su settori quali la sanità, la scuola, l’economia, dei quali è importante e sacrosanto discutere, anche a livello istituzionale.

In uno dei tanti dialoghi con illustri personalità del panorama culturale italiano trascritte nel libro, viene riportata quest’affermazione del filosofo Galimberti: «se io guardo innanzi non vedo niente. Manca lo scopo e quindi manca la risposta al perché. E allora perché mi devo impegnare? Perché mi devo dar da fare? In ultima analisi, perché devo stare al mondo?». L’intero libro è tutto percorso da unica grande domanda: qual è il bene di cui hanno bisogno i giovani di oggi, cioè i nostri figli? «Se si affronta la relazione educativa solo in una prospettiva procedurale – afferma l’autore – il genitore perde, eludendola forse inconsapevolmente, un’occasione fondamentale di umanizzazione e di autenticità. I figli, che dovrebbero rappresentare una oggettiva possibilità di maturazione e di definitivo ingresso nell’età adulta, di completamento della propria generatività (questo il senso del termine genitorialità), finiscono per diventare solo un ulteriore problema quotidiano che va, alla fine, risolto».

Luca Ceriani: «assistiamo alla continua perdita di autorità di giovani genitori che sono diventati vittime di bambini egoisti, trasformatisi per l’occasione, in giganti egoisti»

Ecco la grande alternativa che si spalanca. I ragazzi, adolescenti e bambini che siano, con le loro inquietudini e con i loro umanissimi disagi, sono semplici viti di un meccanismo da raddrizzare? Sono un problema da risolvere e gestire o sono al contrario la più grande provocazione e occasione che è offerta a noi adulti per riformulare le grandi domande dell’esistenza? Se fosse un mero enigma per il quale trovare una soluzione, educare si ridurrebbe, per usare un’espressione cara all’autore, ad “un addomesticamento con precettistica e manualistica”, fatto di procedure e regole, dove il disagio e la difficoltà, non trovando piena cittadinanza, sarebbero ascrivibili al solo “aspetto psicopatologico” e pertanto oggetto della “competenza della tecnica”. Ma la vita, per fortuna, sfugge a tutti i nostri tentativi di tecnicizzazione e riduzione.

Poco più avanti l’autore afferma: «Nelle situazioni più disparate, attraverso i racconti che ci vengono fatti, incontriamo bambini che tiranneggiano, che decidono il clima familiare a seconda del loro altalenante umore; bambini incontenibili e despoti, sordi a qualsiasi richiamo. Allo stesso tempo, assistiamo alla continua perdita di autorità di giovani genitori che sono diventati vittime di bambini egoisti, trasformatisi per l’occasione, in giganti egoisti. Specialmente nel nostro tempo il figlio è sempre di più la proiezione del narcisismo dei genitori. per sapere dove dobbiamo andare è necessario sapere chi siamo, dove ci troviamo. Forse è bene chiedersi se noi padri siamo dei bravi orientatori».

Come rifondare, ricostruire, rimotivare la famiglia perché non sia un luogo di rifugio, ma un luogo di apertura al mondo?

Quali responsabilità abbiamo? Cosa abbiamo fatto perché i nostri figli siano diventati amanti soltanto di sé stessi e non desiderino più la totalità? «C’è una sorta di quiescenza emotiva. Stiamo cercando di preservare i nostri figli dallo scontro con la realtà, li ripariamo da tutto e così facendo abbiamo estinto la normatività e istituito un relativismo affettivo assoluto», commenta ancora l’autore. Quasi a conclusione del libro, Ceriani, guardando con lucidità al tempo di crisi che ci troviamo a vivere oggi, afferma con forza: «La crisi è catarsi: siamo chiamati ad attraversare l’esistenza accettando di venire costantemente e progressivamente rimessi di fronte alle scelte della vita…Questo è il tempo dell’audacia e dell’accettazione del rischio che è insito in ogni azione e in ogni cambiamento. Da quanto ci sta capitando si riparte: siamo chiamati a non aspettare che il mondo venga da noi, ma ad andare noi verso il mondo». 

Cosa significa in tempo di crisi andare noi verso il mondo? Che compito ci aspetta? Come rifondare, ricostruire, rimotivare la famiglia perché non sia un luogo di rifugio, ma un luogo di apertura al mondo? Queste solo alcune delle domande brucianti che la lettura di questo bel testo suscita, adatto e destinato a tutti coloro che avvertono la sfida educativa come chiamata e compito per  collaborare alla ricostruzione di un popolo.

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