In occasione del recente festival “Mare Liberum”, il regista napoletano ha ripercorso alcuni dei suoi più grandi successi per affrontare il tema delle nuove generazioni, che secondo lui, rispetto al passato, hanno meno possibilità d’incisione sulla realtà, vittime di un’epoca con poche alternative in cui è sempre più difficile credere nell’illusione del cambiamento

Il cinema di Mario Martone parla di sogni, illusioni, speranze e rivoluzioni. Ospite del Festival di Geopolitica “Mare Liberum”, organizzato da Eastwest e Associazione diplomatici, lo abbiamo intervistato per discutere insieme a lui di giovani e cambiamento. Giovanissimi, infatti, sono i protagonisti di Noi credevamo, film vincitore di ben 7 David di Donatello che ha inaugurato una trilogia proseguita con “Il giovane favoloso” e “Capri-Revolution”. «Quando ho pensato di girare un film sul Risorgimento italiano ero innanzitutto curioso di riscoprire io stesso questa parte di storia del nostro Paese, un periodo che credo si sia andato imbalsamando sotto le polveri dei luoghi comuni e della pigrizia dei sussidiari. È come se in Italia ci fosse un senso comune lontano dalla storia, ma molto vicino alla politica e che vuole addomesticare la storia stessa. Un processo simile a quello avvenuto in epoca fascista quando vennero innalzati Pantheon per celebrare i protagonisti dell’Unità d’Italia, finendo per edificare un’idea retorica di Patria». Un rischio che oggi sembra essere più vicino che mai, dato il processo in atto di marginalizzazione e soggettivazione della storia. «Invece il Risorgimento è stato un periodo di profondi conflitti, simili a quelli che viviamo noi oggi. I giovani credevano ardentemente in un ideale e in difesa di questo si battevano con vigore, producendo nella società forti lacerazioni. Mi sembrava allora interessante riportare in vita questa storia, riscuoterla dalla sclerotizzazione, permettere allo spettatore di specchiarsi in essa».

ILLUSIONI PER VIVERE. Noi credevamo. Ma se quegli ideali ottocenteschi sono oggi svaniti, le nuove generazioni hanno ancora fiducia in qualcosa o possono solo specchiarsi in un passato ormai lontano? «Il film a cui ho successivamente lavorato, Il giovane favoloso, è non a caso incentrato su Leopardi perché il poeta di Recanati insegna che non c’è vita senza illusione. Infatti, nonostante nessuno più di Leopardi sappia come si concludono i processi storici, come le illusioni siano tutte destinate a spegnersi, sa anche che senza le illusioni non si vive: è una contraddizione che fa parte del vivere stesso e che va accettata senza timore». Anche in questo caso il regista Martone ha compiuto una raffinata operazione culturale, spogliando la figura di Leopardi da quell’etichetta di pessimista che gli è stata affibbiata dai libri di scuola, per ridonargli lo splendore accecante dell’infinito e la speranza della ginestra che rinasce dalla distruzione.

RIVOLUZIONI IM(POSSIBILI). Significativo che la trilogia si concluda con un film sulla rivoluzione, che di speranze e ideali si nutre. «Una rivoluzione in termini sociali oggi è certamente molto difficile perché manca lo sviluppo di un pensiero rivoluzionario, ovvero alternativo a quello capitalistico, che ha vinto e domina il mondo attraverso la globalizzazione. I pensieri alternativi sono tutti minoritari e incapaci di scalfire questo primato, generando un senso depresso nella condizione dello “stare al mondo”, perché viene a mancare la possibilità di un vero conflitto». Capri-Revolution è ambientato agli inizi del Novecento ed offre invece una molteplicità di modelli rivoluzionari, senza peraltro che l’uno riesca a sopraffare sull’altro. «Nonostante quest’assenza odierna di alternative, sul piano individuale bisognerebbe sempre fare tutto ciò che si può per cambiare le cose, continuando ad alimentare l’illusione. Se poi le condizioni ci consentono di estendere il cambiamento anche ad altri tanto meglio, altrimenti bisogna seguire il motto del “fai quel che devi e accada quel che può”». Perché alla fine la vera grande rivoluzione, a Capri, non la compie il gruppo di artisti nord-europei che lì ha costituito una comunità ideale, né tanto meno la guerra tanto auspicata dal dottor Carlo. La vera rivoluzione la fa una capraia, Lucia, cambiando completamente sé stessa e la propria esistenza.

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