«Stiamo vivendo un momento molto interessante. Se negli anni ’70 e ’80 noi studiosi abbiamo affrontato la cosiddetta “questione meridionale” sperando in un certo tipo di investimenti nel Sud, oggi abbiamo ripreso a pensare ai vantaggi della mancata industrializzazione. Quelli derivanti da una migliore qualità di vita, da un paesaggio meno deturpato, da una cementificazione presente ma non tremenda come quella della valle padana. Il post-Covid e le possibilità del “south working” potrebbero allora essere opportunità concrete per il Meridione, ma tutto dipenderà dalla capacità che i giovani del Sud avranno nel rivendicare la possibilità di vivere e lavorare qui, così come da quelle della politica di affrontare seriamente la gestione dei servizi pubblici, la sanità, la sicurezza». Nella visione della prof.ssa Marta Petrusewicz, storica all’Università della Calabria e assessore alla Cultura di Rende, c’è la speranza di un futuro davvero migliore, ma anche la concretezza data da chi dopo una vita dedicata allo studio del Meridione ha infine deciso di toccare (nuovamente) con mano quella realtà, preferendo Cosenza a New York.

«Avevo iniziato i miei studi a Varsavia, ma le derive autoritarie della gestione comunista mi hanno costretta ad abbandonare il paese. Si era verificata la combinazione peggiore possibile: nazionalismo e antisemitismo insieme»

DALLA POLONIA ALLA CALABRIA. Quella di Petrusewicz per il Sud Italia è una storia d’amore nata quasi per caso, grazie a un incontro fortunato avvenuto in Italia, paese che la ha ospitata dopo l’esilio dalla sua cara Polonia, avvenuto per ragioni politiche nel 1969. «Avevo iniziato i miei studi a Varsavia, ma le derive autoritarie della gestione comunista mi hanno costretta ad abbandonare il paese. Si era verificata la combinazione peggiore possibile: nazionalismo e antisemitismo insieme». Così, l’allora giovane studentessa ebrea si è trasferita a Bologna, dove ha completato gli studi universitari. «In quegli anni la città era ancora piuttosto autoreferenziale. Per tutti ero “la polacca” e anche l’idea dell’internazionalizzazione era piuttosto lontana. Basti pensare che quando arrivarono delle borse di studio per trascorrere un periodo a Oxford partecipammo solo in due, e naturalmente vincemmo entrambi».
Dopo la laurea conseguita nel capoluogo emiliano, per Petrusewicz l’opportunità di lavorare a qualcosa di nuovo venne dal Sud del Paese. «Beniamino Adreatta, appena nominato rettore della nascente Università della Calabria, stava reclutando ad ampie mani e io raccolsi la sfida con entusiasmo prendendo parte a una delle avventure più interessanti della mia vita. E così sposai il Sud».

Marta Petrusewicz

CARRIERA INTERNAZIONALE. La brillante carriera della prof.ssa Petrusewicz ha successivamente avuto risvolti molto importanti negli Stati Uniti, dove ha avuto modo di occuparsi del Mezzogiorno italiano e del Sud del mondo, insegnando storia nelle università di Harvard, Princeton e, per oltre vent’anni, alla City University di New York. «È la città che amo di più – confessa – ed è in un certo senso il centro del mondo, ma a un certo punto ho capito che per avere un impatto reale sulle tematiche di cui mi sono occupata per tutta la vita sarei dovuta tornare in Europa. E in quale posto farlo, se non in quello da cui tutto era cominciato?». Così, rientrata in Calabria, con gli onori riconosciuti da un ateneo che l’ha vista in un certo senso tra i suoi fondatori, la storica ha deciso di dedicarsi tout court a quel grande primo amore, dapprima riprendendo l’insegnamento all’Università e poi come assessore del comune di Rende.

«Mio malgrado ho toccato con mano quanto sia difficile mettere in pratica lo slogan della cultura come volano dello sviluppo. Affinché ciò avvenga davvero è necessaria una sorta di rivoluzione culturale»

L’ESPERIENZA A RENDE. «Quando il sindaco mi chiese di fare l’assessore  alla cultura titubai un attimo, rispondendogli che non avevo esperienza diretta con questo tipo di politica, ma alla fine mi convinsi che era giunto il momento di mettermi in discussione». Tre anni dopo aver accettato quell’incarico Petrusewicz la descrive come un’esperienza interessante e importante, ma ammette di essersi scontrata con alcuni atavici problemi del Meridione. «Mio malgrado ho toccato con mano quanto sia difficile mettere in pratica lo slogan della cultura come volano dello sviluppo. Affinché ciò avvenga davvero è necessaria una sorta di rivoluzione culturale, che spinga la gente a interessarsi maggiormente alle cause comuni». Insomma, secondo Petrusewicz nonostante Rende sia una città universitaria, con una popolazione abbastanza giovane e istruita, un sindaco brillante, essa si scontra con gli stessi problemi comuni a tutto il Meridione: dal predissesto alla mancanza di fondi. «A livello individuale c’è una preoccupazione sentita rispetto al cosiddetto “futuro rubato”, però vedo poca capacità di rendere queste preoccupazioni collettive e tradurle in delle azioni nei giovani che non dico debbano essere rivoluzionarie, ma che siano perlomeno propositive. Credo che su questo si possa ancora lavorare».

«In Calabria ho avuto modo di conoscere moltissime esperienze di agricoltura avanzata non solo dal punto di vista industriale, ma anche della qualità del prodotto. Sarebbe bello se riuscisse a fare rete e a imporsi come modello»

FUTURO SOSTENIBILE. Quando le chiediamo cosa pensi delle opportunità date dalle misure del governo come la fiscalità di vantaggio e l’impiego del Recovery Fund per il rilancio del Meridione, la storica polacca non manca di ricordare come sia necessario un approccio del tutto nuovo. «Tenendo bene a mente le vecchie esperienze come quella della Cassa del Mezzogiorno, credo sia necessario superare un approccio che sia solamente di tipo “assistenziale”. Questa potrebbe essere una possibilità concreta per il Sud se si puntasse maggiormente sulla preparazione e le capacità dei meridionali». In questo senso la strada sarebbe anche quella di diversificare, puntando oltre che sul turismo anche sullo sviluppo sostenibile. «Ciò che succederà all’Ilva di Taranto sarà in un certo senso un banco di prova: l’ideale sarebbe avere una grande fabbrica che continui a produrre, ma che sia convertita con soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale. In generale, poi, dovremmo pensare a una riconversione produttiva che vada nella direzione delle vocazioni territoriali. In Calabria ho avuto modo di conoscere moltissime esperienze di agricoltura avanzata non solo dal punto di vista industriale, ma anche della qualità del prodotto. Sarebbe bello se riuscisse a fare rete e a imporsi come modello».

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