Ha iniziato a scrivere da piccolissima, a tre anni, quando non sapeva ancora leggere. Lo faceva in uno studio con tanto di scrivania nel sottoscala arrangiato dalla sua mamma tuttofare, dove trascorreva le sue giornate a disegnare e a inventare, con geroglifici tutti suoi, le storie che avrebbe raccontato a fine giornata. Saliva poi sul tavolo, il suo palco personale, e lì iniziavano i suoi lunghi show… Per Gisella Torrisi, scrittrice catanese 31enne, il passato è sempre stato importante. Anni trascorsi a sognare di diventare un’artista tutta d’un pezzo, quale è oggi, ma che lei stessa cerca di nascondere, per timidezza forse, anzi sicuramente, perché dalla sua voce leggera e deliziosamente pacata si intuisce tutta la sua grande umiltà. Quella che possiedono in pochi, forse i veri artisti, le vere artiste. Le scrittrici di ultimo grido oggi sono impegnate a disseminare messaggi sui social o a seguire i propri followers che hanno un sapore freddo e agonizzante. A lei invece non importa tutto questo. A Gisella Torrisi importa soprattutto che il suo mondo e la sua vita sia la propria arte: la scrittura.

La copertina del volume

Ed è questo che si percepisce subito dalle prime righe di “Figlie della strada”, suo primo vero romanzo edito da L’Erudita (casa editrice che lavora al fianco di Giulio Perrone Editore). Un romanzo scritto con cura divina e che sa di poesia vera, con una grande narrazione che ricorda la meta-narrazione dei Grandi scrittori del Novecento, ambientato in un piccolo borgo marino: Marzamemi, ormai la località per eccellenza in Sicilia, ambita dai turisti e dalle celebrità. È una storia fatta di mare, di sale, di nebbia. I personaggi, Julie e Maja, sono scavati fin dentro e le verità che vengono fuori finiscono per ribaltare la loro realtà; si ritrovano così da sole ad affrontare le difficoltà e a fare della propria vita il loro capolavoro, anche se terrificante. «Julie è una turista scomparsa da dodici anni, la straniera che viene da fuori e che si nasconde dal suo passato in un modo molto originale – spiega Gisella Torrisi – . Maja invece è la catanese, quella che ha cambiato vita cercando di elevarsi ad uno status diverso. Entrambe sono legate da questo passato doloroso, entrambe sono il concentrato di eventi che le hanno rese quel che sono». Una, infatti, scappa dagli abusi familiari, l’altra dal degrado della periferia. Così apparentemente diverse ma simili. Una notte, il mare è in piena burrasca, un investigatore arriva a Marzamemi. È sulle tracce di Julie, la protagonista. Da quel momento in poi una serie di eventi lo porteranno alla scoperta di sé e dei suoi limiti. Camminando, come fanno le protagoniste, su quelle strade lui incontrerà tante trappole. Conoscerà Maja ma la fraintenderà. Perché peccherà non solo di ingenuità ma anche di saccenteria. All’interno del libro ci sono, poi, i librai, i pescatori, le donne, i pochi abitanti del borgo marino, insomma, oltre ai protagonisti che vengono tutti da fuori e desiderano tanto mettere radici in quell’anfratto di terra che gioca con loro, li seduce e li respinge.

Una storia che, dunque, ha due ritmi differenti: la prima metà mostra la parte più visionaria, quella che precede l’impulso, quella dormiente in ognuno di noi, e la seconda metà invece è quella fatta di azioni, di panico e di colpi di scena. «Ci troviamo in un luogo un po’ ostile all’inizio – ci dice ancora Gisella -, quasi abbandonato durante l’inverno e che ci restituisce simboli e immagini di una Sicilia mitica e al contempo quotidiana. Quella Sicilia che in parte mi appartiene e che ho voluto rappresentare e raccontare in questo romanzo che è, per me, il mio Minotauro, a metà tra quello che ero prima e quello che vorrei diventare». Un romanzo che, stando a quanto detto ancora dalla scrittrice siciliana, all’inizio aveva un titolo differente. «Quello che mi ha seguita durante tutta la stesura era ‘Calicanto’, e lo si ritrova nella copertina. Si tratta di un albero dai grandi fiori gialli che fiorisce solo in estate. ‘Figlie della Strada’ è il titolo successivo a tutto il lavoro di revisione, perché in fondo la storia parla proprio di due ‘caruse di strata’, per dirla in dialetto».

E che dire altro, dunque, di questa storia che decolla fin da subito e dall’inizio alla fine ci introduce nei vicoli e nel mare di Marzamemi, tranne che concede spazio agli ultimi, ai diversi, alle donne, a coloro che hanno avuto in dono una seconda vita. Un secondo “tempo”, per dirla in breve, che nasconde tenebre e la cui strada è fatta di pericoli e dolorose esperienze.

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