Monica Vitti e la Sicilia: sul piano artistico un rapporto costante figlio di ironia e senso del tragico. Ma anche un pezzo di radici dell’infanzia a causa degli otto anni trascorsi da bambina a Messina. Monica Vitti attrice esistenziale capace di spaziare dal dramma al comico, dalla commedia e dal grottesco allo slancio creativo e surreale più inatteso. Nata a Roma il 3 novembre 1931, all’anagrafe Maria Luisa Ceciarelli, oggi, nel momento della morte, non si può non pensare alla lunga malattia degenerativa che negli ultimi vent’anni l’ha sottratta ai riflettori, a quella scena che, dopo il diploma del 1953 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, l’aveva resa unica prima a teatro e poi al cinema e in alcune popolarissime partecipazioni televisive.

Alla sua infanzia a Messina la grande attrice accenna nel libro autobiografico Sette sottane, tra la casa vicina al porto e il freddo che la costringeva a coprirsi fino all’inverosimile. Un ricordo filtrato da quello sguardo ironico che è stata sempre una sua cifra stilistica, come quando raccontava in tv a Pippo Baudo l’arrivo della compagnia teatrale in Sicilia accompagnato dall’annuncio maschile “Sono arrivate le buttane!”, che lei ripeteva giocando con il dialetto siciliano, come amava fare spesso.

In una carriera impreziosita da Leone d’oro alla carriera, Orso d’argento, David di Donatello e Nastri d’argento, la Sicilia ha avuto un ruolo speciale anche nel successo cinematografico: nel 1960, con il personaggio di Claudia nel film “L’avventura” di Michelangelo Antonioni, girato quasi del tutto in Sicilia, da Lisca Bianca (isolotto di Panarea, nelle Isole Eolie) a Milazzo, Casalvecchio Siculo, Noto, Taormina e Messina, emerge la sua capacità di evocare personaggi complessi, sfuggenti e sfaccettati. Al tema lo storico del cinema Nino Genovese ha dedicato il volume Messina nella sua Avventura. Omaggio a Michelangelo Antonioni (Associazione Daf). Un classico del cinema esistenziale seguito, nel sodalizio professionale e sentimentale con Antonioni, da “La notte”, “L’eclisse” e “Deserto rosso”.

Poi, nel 1968, avviene la svolta comica con “La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli, dove Monica Vitti gioca con la sicilianità in chiave grottesca nei panni di Assunta Patané, “disonorata” e in cerca di vendetta. Da qui una carrellata di personaggi memorabili spesso sul versante brillante e sempre resi in modo impeccabile con registi come Scola, Buñuel, Sordi (grande partner artistico), Di Palma, Steno, Risi, Losey, Maselli, Loy, Comencini, Rossi, Giraldi, Jancsó, Festa Campanile, ancora Antonioni, Zampa, Corbucci e molti anni, compreso “Flirt” del compagno Roberto Russo.

Alle sue straordinarie figure di donne, sempre fuori dall’ordinario anche quando affogavano in una quotidianità apparentemente banale, la scrittrice Eleonora Marangoni ha dedicato dei coinvolgenti ritratti femminili nel libro E siccome lei, Feltrinelli. Ritratti che possono ricordare i “Sillabari” di Parise nei quali Vitti è un personaggio che contiene moltitudini. Una personalità mutevole, sfuggente e profonda, tra vero e falso, vita e illusione, ricchezza interiore e varietà di registri espressivi.

In sintesi, una donna, un’attrice completa da studiare e ristudiare attraverso film e apparizioni televisive. «È tutto mescolato, la vita, i personaggi. Ma allora è tutto falso, direte voi? No, è tutto vero: specialmente i personaggi», ricordava Monica, interprete unica, raffinata e popolare al tempo stesso.

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