Sono Daphne Caruana Galizia, vivo a Malta e in ogni giornalista che lotta per la giustizia: i miei assassini hanno dato fuoco alla verità insieme all’auto su cui viaggiavo. Mi chiamo Doa Arrawi e qui, a Bagdad, vado in soccorso dei rifugiati e, nel farlo, accresco il prestigio della mia tribù. Il mio nome è Italo Donati, ho 17 anni e la mia speranza è affondata insieme al Titanic.

A raccontare queste storie, tutte reali, sono Matthew Caruana Galizia, figlio della giornalista maltese uccisa nel 2017; Laura Silvia Battaglia, giornalista esperta di conflitti in Medio Oriente; e Luigi Ballerini, scrittore e psicanalista autore di Un sogno sull’oceano (San Paolo, 2019) libro che racconta la vicenda del transatlantico dal punto di vista di ragazzi italiani che lavoravano in uno dei ristoranti di prima classe. I tre illustri ospiti sono stati tra i protagonisti insieme al giornalista di Radio24 Antonio Talia e al reporter de La Stampa Domenico Quirico della serata evento del workshop internazionale “Il giornalismo che verrà” dal titolo “Vittime della storia. La guerra in Ucraina e le grandi migrazioni”. Daphne, Doa, Italo: cosa hanno in comune queste vite? Sono vittime della storia. E non sono ucraini, né russi.

SE PARLANO SOLO I CANNONI. L’allentarsi della pandemia ci aveva illuso che tempi migliori sarebbero presto arrivati ma il divampare del conflitto in Ucraina ci ha riportato agli anni più bui del secolo scorso. Mentre la nostra attenzione rimane puntata sulle vittime dei campi di battaglia nel sud-est del paese, altre catastrofi umanitarie sono già tra noi. Non ultima quella dei rifugiati, non solo ucraini, che cercano accoglienza nelle nostre società. Alla questione bisogna guardare con uno sguardo diverso da quello avuto finora. «Sono temi molto scivolosi: difficile capire dove stiano bianco e nero – ha ricordato Laura Silvia Battaglia al-Jalal. L’aiuto deve essere fatto valorizzando la tipicità e la dignità della persona». D’accordo il giornalista Antonio Talia. «È stato già lanciato un allarme contro lo sfruttamento di migranti ucraine. Stiamo attenti a non trasformare in prigioni quei porti sicuri che offriamo a chi scappa da violenze e fame. Non chiudiamo di fronte all’accoglienza l’occhio del diritto». Un invito reso ancor più urgente dai probabili scenari futuri. «Scoppia la guerra in Ucraina, si riducono le esportazioni di grano, in Maghreb aumentano le migrazioni. Le vittime della storia – ha proseguito Talia – sono tutte le vittime delle disuguaglianze».

UNA PAROLA CHE STA STRETTA. Questo tipo di narrazione condanna a una logica ostile in cui c’è sempre qualcuno da odiare a suon di cannoni. Come ha notato Ballerini, «c’è stato un momento in cui anche noi siamo stati considerati delle nullità, gli ultimi tra gli ultimi. I tanti ragazzi come Italo del Ritz del Titanic sono morti annegati dopo essere stati rinchiusi nel ristorante in cui lavoravano e per il quale avevano attraversato l’Oceano». La parola «vittima» non basta a spiegare la realtà e neanche a superarla. «La vittima è semplicemente chi non ce la fa, non ce l’ha fatta e non ce la farà mai. Se noi continuiamo con questa narrazione facciamo male alla storia e al futuro. Dobbiamo diventare capaci di trovare nell’altro qualcuno con cui dialogare a livello paritario». Battaglia ci ha aiutato, inoltre, ad allargare il nostro sguardo oltre la lente eurocentrica. «Bisogna decolonizzare il processo migratorio dalla retorica secondo cui io, civilizzata e magnanima, salvo te sventurato per sentirmi orgogliosa di quel che sono. Il mondo è di tutti, la migrazione non è una emergenza ma un diritto che possediamo dai tempi di Noè». Superare le dicotomie, però, rimane un affare decisamente complesso. Come ha messo in evidenza Quirico: «Il punto è che non vogliamo conoscere l’altro, ci basta odiarlo. Siamo come Antigone e Creonte: portatori di ragioni che non si parlano. Per questa ragione, quando scrivo, mi sento obbligato all’autopsia di tutte le vittime».

ARMONIA. Daphne, Doa, Italo sono vittime della storia, vittime di una storia con gli occhi cuciti con fili di ferro. Vittime di quel triangolo in cui la verità diventa uno stagno e noi smarriamo la capacità di scavare la superficie. Per usare un’immagine cara a Quirico, dobbiamo sciogliere i «nodi» della storia. Per farlo, questi nodi, dobbiamo prima sentirli in gola. «Le storie vanno attraversate», come sostiene Quirico, e commuoversi è il biglietto di questa traversata. Se siamo ciò che ci commuove, non saremmo forse ipocriti, o quanto meno, parziali, nel piangere l’Ucraina e non il Sahel? «Se vogliamo individuare una vera vittima della storia questa è la ricerca della verità», ha chiosato Battaglia. Mentre scende sulla quarta edizione del workshop, il sipario si apre sulla storia. Taccuino, fotocamera, tela: siamo pronti a riscrivere il nostro futuro? Buona giornata dei profughi e dei rifugiati.

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