«Avevamo un tesoro, eppure non lo consideravamo come tale». Sono parole dell’arcivescovo di Catania Salvatore Gristina, nel 1993 vescovo ausiliare a Palermo. Ha ricordato il beato e martire in occasione della presentazione del libro biografico scritto da Marco Pappalardo “3P, supereroe rompiscatole”, ritratto di un uomo che non amava stare al centro dell’attenzione, che dedicava le sue forze per i giovani del quartiere Brancaccio, dominato dalle attività criminali di Cosa Nostra che lo fece uccidere. Eppure nel 1992 della sua attività sulla stampa si parlava raramente

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]U[/dropcap]n supereroe rompiscatole». Sono le due parole che Marco Pappalardo giornalista, scrittore ma soprattutto insegnante etneo, ha scelto come sottotitolo per il suo libro “3P”, dedicato a Padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993 davanti al portone di casa a Brancaccio, il quartiere di Palermo dove era parroco nella chiesa di San Gaetano. Un titolo certamente singolare, scelto per avvicinare i giovani alla figura del beato, martire, e simbolo dell’antimafia. Un libro narrato con la necessaria cura delle fonti biografiche, ma con un linguaggio non austero.

«Del resto 3P è un diminuitivo che usava lo stesso Puglisi, ma anche “supereroe” e “rompiscatole” sono due termini non scelti a caso», spiega Pappalardo nel corso della presentazione del 10 ottobre all’interno della Libreria San Paolo di Catania. A parlarne di fronte a una numerosa platea i giornalisti Adelaide Barbagallo e Giuseppe Di Fazio insieme all’arcivescovo di Catania Salvatore Gristina, che ha dato un ritratto personale di Puglisi, allo stesso tempo lontano ed esplicativo dell’appellativo di supereroe.

«Era un uomo che non amava stare in prima fila. Anzi, – ha sottolineato monsignor Gristina – se poteva retrocedeva per non apparire, stando in seconda o in terza. Badava ai fatti, non stava dietro gli striscioni». Gristina, all’epoca ausiliare dell’arcivescovo di Palermo Salvatore Pappalardo, è stato testimone diretto dell’azione di Puglisi, parroco di frontiera a Brancaccio, dove l’impegno per i giovani si scontrava con gli interessi della famiglia mafiosa egemone nel mandamento di Brancaccio-Ciaculli, quella dei fratelli Graviano, mandanti del suo omicidio.  «Nessuno lo considerava un prete antimafia. Avevamo un tesoro, e non ce ne siamo accorti», afferma non nascondendo l’amarezza l’arcivescovo di Catania, nonostante abbia avuto un ruolo centrale nell’apertura del Centro Padre Nostro, fortemente voluto da Puglisi e tutt’ora operante, non senza difficoltà: come 25 anni fa, «dona una speranza per il futuro ai giovani», afferma Giuseppe Di Fazio. «L’inferno da cui Puglisi salvò molti ragazzi a Brancaccio – ha proseguito il giornalista – era quello fatto da un destino segnato. Eppure di lui – ha spiegato Di Fazio – si parlava pochissimo nei giornali dell’epoca».

«Pino – prosegue Gristina riferendosi a Puglisi -, mi aveva parlato della volontà di acquistare una casa adiacente la sua chiesa per farne un centro aggregativo. Ne parlai con l’arcivescovo, consapevole delle tante difficoltà economiche della Diocesi». Ancor prima di avere una risposta  Puglisi «venne dall’arcivescovo, che gli spiegò i problemi economici, ma gli firmò l’assegno per la caparra per il Centro Padre Nostro proprio davanti a me – racconta Gristina -. Le sue azioni e il suo sorriso, rimasto nonostante i segni dei colpi di pistola sul corpo che vidi all’interno della camera mortuaria a poche ore dalla sua morte, sono il segno del Signore»

«Del resto, come ha detto Papa Francesco recentemente a Palermo, chi è cristiano non può essere mafioso», sottolinea la giornalista Adelaide Barbagallo. «Chi è cristiano è antimafioso, e chi non lo è vuol dire che dice di essere cristiano senza esserlo», conclude l’autore.

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