Nel cuore dell’Irlanda un viaggio per riscoprire le gioie che erano rimaste in valigia
Il ritorno post-pandemico al rito collettivo delle partenze per le vacanze era cominciato nel peggiore dei modi, nella forma di una distesa variopinta di trolley e borsoni di ogni colore, tipo e misura, abbandonati nelle aree aeroportuali adibite al ritiro bagagli o a girare a vuoto sui nastri di riconsegna, in attesa di una mano che li afferri sottraendoli all’insensatezza. Il desiderio di partire, di lasciarsi alle spalle ciò che ha tenuto in ostaggio il mondo intero per due anni, ha avuto dimensioni tali e si è manifestato in maniera così perentoria da sorprendere sia le compagnie aeree, che sulla soddisfazione dell’onda anomala del desiderio last minute hanno costruito le proprie fortune, sia l’organizzazione sperimentata degli aeroporti internazionali abituati a gestire settimanalmente numeri di passeggeri a sei cifre.
Pronto a lanciarmi in questa vacanza-studio full immersion insieme con i miei studenti, nella speranza che possano imbattersi in un inglese più reale di quello studiato a scuola, passo accanto ai bagagli ammassati negli scali di Catania, Amsterdam e Dublino e mi sorprendo a rilevare che, per le migliaia di passeggeri rimasti senza il proprio bagaglio, l’essenziale, probabilmente, non era riposto in quei contenitori. Ciò a cui non potevano rinunciare, ciò che chiamiamo “cuore”, infatti, deve avere trovato spazio altrove, magari nel bagaglio a mano o nello zainetto nel quale frugano i miei ragazzi in attesa dell’imbarco. «Professore, non si preoccupi! – mi aveva tranquillizzato una mamma a cui, prima della partenza, mi affannavo a descrivere il programma dei giorni che ci attendevano in Irlanda – Poter partire, aprirsi al mondo, per questa volta, è già più che sufficiente».
I COLORI DELL’IRLANDA. L’aria fresca dell’Isola dello smeraldo che la mattina dopo il nostro arrivo mi viene incontro appena lasciata alle spalle la casa della mia host family avviandomi verso la scuola, mi ridesta all’avventura che mi aspetta. Nessun bagaglio è stato smarrito. Lungo il percorso che mi porta alla fermata della Luas (il sistema di trasporto pubblico della capitale irlandese, ndr) raccolgo alcuni del mio gruppetto. A scuola lo spettacolo di una giovane umanità proveniente da Italia, Spagna, Francia, con spruzzate dalla Germania, Svizzera e Polonia offre uno spaccato interessantissimo. La prima constatazione è rassicurante: l’Irlanda non ha perduto la capacità di accogliere che la contraddistingue. Tutti, infatti, sono contenti delle famiglie ospitanti. Il programma è fitto: mattina escursioni o sport a scuola, pomeriggio Irish culture and conversation. I dati relativi ai test di ingresso confermano ciò che noi docenti di inglese osserviamo oramai diffusamente: il livello competenza linguistica dei nostri studenti ha subìto un incremento impensabile anni fa. Sarà merito delle serie Tv che questi ragazzi divorano in lingua originale, sarà la percezione che l’orizzonte nel quale vivono già e quello lavorativo che li attende è globale, una cosa è certa: se il docente per primo non si aggiorna rischia di essere drammaticamente superato dai discenti. Neppure il tempo di disfare le valige, però, che già il virus, da cui più o meno inconsciamente tutti fuggiamo, ci avverte che non basta spostarsi di qualche migliaio di chilometri per essere fuori dalla sua portata. Una delle famiglie è risultata positiva al Covid; bisogna spostare due ragazze. Il gruppo, però, non si lascia tarpare le ali. «Cosa ti aspetti da questa vacanza?» chiedo a Simone, ragusano, 16 anni. «Prof, – è la risposta – Mi aspetto gioia. Null’altro».
IL CORAGGIO DELLA CONVIVENZA. Gli impegni si susseguono nelle giornate intense in cui si alternano i balli irlandesi o le tendenze su Tik Tok alla lezione di arti marziali con un professionista di kick boxing noto a livello mondiale, la partite di calcio al torneo di basket, le visite alla National Gallery, che ospita Caravaggio e la passeggiata al molo di Dun Laoghaire. Man mano che passano i giorni alcuni volti si allargano illuminati da un sorriso. Di solito sono le face di coloro che mettono il cuore in quello che viene proposto. Altri si ostinano a inseguire un’alternativa alla circostanza presente che sempre lascia stampata in viso un’espressione di inquietudine e di tristezza. Alla mia età oso ancora tuffarmi nell’agone degli sport. La prestazione non è ancora anacronistica; il senso dello humor forse sì. «Don’t pass the ball to the girls» raccomando scherzosamente ai miei compagni di squadra. Anne, tedesca di diciassette anni, non ricambia il mio sorriso divertito. La mia battuta deve esserle sembrata decisamente sessista. Inutilmente cerco di rimediare. I quarant’anni che ci separano, d’altronde, non si possono percorrere in pochi minuti. La convivenza richiede un lavoro, innanzitutto, su di sé. La presenza dell’adulto tra ragazzi e ragazze continua tuttavia ad apparirmi importante, specie per spezzare la tendenza a rinchiudersi nei recinti rassicuranti delle conoscenze già acquisite che impedisce alle nazionalità di mischiarsi. Mi adopero per come sono capace, ma devo riconoscere i miei limiti. Ne è un esempio Vittoria, che rivolge un sincero invito a delle timide ragazzine giapponesi con le quali condivide l’alloggio e mi stupisce più delle spedizioni in centro con il gruppo intraprendente dei francesi o degli esuberanti spagnoli.
LA GIOIA DELL’INCONTRO. E l’inglese? Lo hanno migliorato? «Ho parlato tanto e, per il tipo che sono non me lo aspettavo» mi confessa Francesco, davanti alla sua prima pinta di Guinness. «Due settimane sono poche mi son detto, devo buttarmi nei rapporti e non mi sono pentito». Mentre Vittoria riflette: «Non so se sono migliorata tanto, Ho usato tanto quello che già sapevo e mi sento più sicura». Per David O’Dwyer, direttore della scuola che ci ospita, anche solo questo non è affatto scontato. «”What’s your name? Where are you from?” sembra poco – sostiene – e invece, in un mondo in cui l’altro è ridiventato un nemico, tutto si gioca lì: in un incontro in cui c’è la curiosità di conoscersi, di chiamarsi per nome. Di costruire occasioni di incontro».
Rientriamo in Sicilia. Molti trolley sembrano girare ancora sugli stessi nastri sui quali li avevamo lasciati. Spero che per i “cuori” dei loro proprietari non valga la stessa cosa, che sia accaduta quella gioia che non censura neppure le notizie che provengono dall’Ucraina o da Taiwan. La gioia che nasce dal rinnovarsi della promessa che ciò che il cuore cerca mettendosi in viaggio, c’è, è rintracciabile anche qui, adesso che siamo atterrati. Non nel vuoto del disimpegno riempito dalla tirannia delle proprie voglie, bensì nella curiosità dell’incontro con chi ci ritroviamo accanto.