Nicola Alberto Orofino: «Il mio teatro a puntate che parla il linguaggio delle serie TV»
Tre fratelli, un funerale e un testamento; sono questi gli elementi alla base di “Tornati a casa per tempo” la prima serie teatrale ideata e diretta da Nicola Alberto Orofino per il Teatro Stabile di Catania, che debutterà lunedì 29 novembre alla sala Verga e che proseguirà nelle quattro settimane successive. Per quanto ci si trovi di fronte a un genere poco consueto in Italia, nonostante qualche illustre accezione come “6Bianca” dello Stabile di Torino; il filone nasce e si afferma in America Latina dove sono molti gli scrittori che firmano drammi a puntate, è il caso di Rafal Spregelburd autore dell’eptalogia ispirata ai sette vizi capitali di Heironymus Bosch e declinata nella contemporaneità. «Da sempre le forme artistiche si sono influenzate a vicenda – spiega il regista – penso alla fotografia e alla pittura, al cinema e al teatro. Dal momento che la serialità fa parte dell’intrattenimento odierno, abbiamo voluto capire se alcuni meccanismi che gli appartengono si potessero riprodurre a teatro. Non vogliamo, infatti, parodiare le serie TV ma capire se ci possono essere delle corrispondenze che diano slancio a una nuova esperienza».
Si è quindi partiti dal sostrato narrativo: il finale aperto, la manipolazione nel tempo del racconto, lo sviluppo dei personaggi, il riassunto delle puntate precedenti per arrivare a un prodotto che mantenesse le caratteristiche di un testo teatrale ma con degli elementi nuovi. «Questo progetto è nato durante la pandemia – evidenzia Orofino –. Per prima cosa ho scritto i titoli: “Tutta la puzza della vita”, “Della tua divina immagine”, “Elogio del silenzio”, “Tutto grasso che cola” ispirati al momento che stavamo vivendo, poi ho pensato a come trascorrevamo le nostre giornate e quindi ho voluto aprire una riflessione sulle serie televisive».
Per la stesura dell’opera, Orofino si è affidato oltre che alle sue capacità, alle doti di Roberta Amato, Giovanni Arezzo e Alice Sgroi. «Volevo che a scriverlo fossero persone di teatro, che ne conoscono i meccanismi e le difficoltà – osserva ancora –. Ho pensato anche che la forza del gruppo potesse essere importante in drammaturghi neofiti, dopodiché ci siamo letteralmente chiusi in casa per due mesi e mezzi lavorando sei-otto ore al giorno. Abbiamo realizzato la prima stesura a cui ne è seguita una seconda e alla fine abbiamo consegnato il copione agli attori. Anche qui la scelta è ricaduta su interpreti che fossero veloci nell’apprendere. Carmen Panarello, Salvo Drago e Luca Fiorino hanno frequentato come me la scuola del Piccolo Teatro di Milano, quindi conoscevo la loro formazione e professionalità; la quarta attrice avrebbe dovuto essere Barbara Giordano che però abbiamo dovuto sostituire perché in maternità. La scelta è ricaduta sulla bolognese Cristiana Raggi che ho incontrato qualche tempo fa al Festival di regia internazionale a Trento e che condivide con gli altri lo stesso metodo».
Ciascuna delle quattro puntate appartiene a un genere ben preciso – come la commedia o il monologo – e la narrazione rimanda all’appuntamento precedente, dal momento che ciascun episodio non è autoconclusivo. Per l’occasione è stato anche previsto un abbonamento apposito e la possibilità di assistere a una replica qualora si perdesse la puntata precedente. «Esattamente come accade in tv. Ogni puntata, inoltre, – prosegue – ha un finale aperto e senza spoilerare niente posso dire che anche l’ultima, segue le stesse regole lasciando all’eventualità di una seconda stagione. Si può scegliere di vederne solo una, ma sono certo che ad avere la meglio sarà la curiosità dello spettatore. L’anno scorso abbiamo fatto una piccola anteprima per un gruppo ristretto e la cosa che più mi ha stupito è che a un certo punto qualcuno ha detto: “Ahhh, ho capito!”. Ecco, a differenza di uno spettacolo con finale chiuso, la serialità ti permette di seminare molti elementi e di svilupparli nell’arco delle puntate».
Siamo di fronte a un nuovo modo di fidelizzare il pubblico teatrale? È presto per dirlo, il dato certo è che i consumi delle piattaforme sono cresciuti durante il lockdown. Certamente era l’unica fonte di svago in quel contesto ma al netto del giudizio etico non si può non tenere in considerazione il fatto che oggi lo spettatore è sempre più esposto a un’ampia scelta di contenuti, può usufruirne in qualsiasi momento usando media diversi, per cui anche la dimensione-teatro deve per lo meno avvicinarsi alla platea, soprattutto dei più giovani, con un approccio diverso mettendo al centro le loro necessità e un linguaggio riconoscibile. «All’inizio avevamo anche pensato a una maratona notturna per tutti e quattro gli spettacoli, non è detto che non si faccia – dice -, comunque l’obiettivo è di riportare gli spettatori in sala. Quale modo migliore se non avvicinandoci ai loro gusti, senza per questo snaturare il teatro, ma anzi rafforzandolo?».
Orofino non è nuovo al genere e una prima forma embrionale di teatro seriale l’aveva già realizzata nel 2014 con “Family day”, spettacolo del quale è riuscito a portare in scena solo la prima puntata. «È stata una sorta di episodio pilota – chiosa – poi Orazio Torrisi se ne è innamorato così grazie al suo sostegno economico riusciremo a svilupparlo nella sua interezza. Si tratta di sette puntate in cui si raccontano i momenti topici di una famiglia tradizionale. La particolarità dell’operazione è che si tratta di teatro muto. Ad aprile debutterà la prima puntata e poi nell’arco del 2022-2023 realizzeremo la seconda e la terza. Diciamo che rispetto a “Tornati a casa per tempo” è un lavoro di più ampio respiro e a carattere annuale». Un’idea nuova con la quale dare anche una forma diversa al teatro, che chiede sempre con più forza di attingere a nuovi linguaggi, grammatiche e narrazioni. «Spesso si usa il termine ripartenza che a me non piace molto perché è come se non tenesse conto della recente esperienza fatta, preferisco invece proseguire da dove eravamo rimasti con la consapevolezza di quello che è stato e di ciò che sarà».