Nel gennaio del 2012 usciva l’album Gli eroi non escono il sabato, destinato a rappresentare una pietra miliare per la nascita di una generazione di artisti siciliani. Era uno dei primi segnali di un fermento culturale e sonoro che stava per deflagrare, dando a Palermo l’occasione di avere un ruolo da protagonista sulla scena musicale nazionale.

«Eravamo tutti agli inizi», ricorda Nicolò Carnesi, autore di quel disco e oggi trentacinquenne. «Dimartino aveva da poco pubblicato il suo primo album, La Rappresentante di Lista doveva ancora farlo, c’erano i Pan del Diavolo e altre band. Era un momento di grande vivacità. Aveva per teatro le strade ed i locali. Si stava insieme e si suonava. Ci si scambiavano consigli, pareri, esperienze. Eravamo genuini, giovani, con la voglia di dire qualcosa. Gli eroi non escono il sabato venne fuori proprio grazie a quel contesto artistico».

Dieci anni dopo il cantautore palermitano riprende il racconto ironico, diviso in undici capitoli, di una generazione che s’imbatte nella velocità e nel logorio del consumismo, salvo poi pentirsene e preferire il calore di un libro, delle cose reali. Torna sui suoi passi, non per nostalgia, ma per ritrovare lo spirito del tempo che il consumismo e lo streaming hanno ucciso. E riedita Gli eroi non escono il sabato, ricreando quel contesto di condivisione, risuonando quelle canzoni in compagnia di vecchi compagni d’avventura – come Dimartino, Dario Mangiaracina della LRDL, Donato Di Trapani, Brunori Sas – di passioni giovanili (Zen Circus e Offlaga) e di nuove conoscenze, come Lo Stato Sociale, Oratio, Fast Animals and Slow Kids, Dente, Cimini, Gregorio Sanchez. Duetti nati da incontri su un palcoscenico, cementati da amicizia e reciproca stima. Le canzoni si arricchiscono di nuovi significati, oltre che di arrangiamenti più contemporanei. Diventano anche racconti di una intesa artistica. E Carnesi ritrova lo spirito che aveva animato quel disco dieci anni fa.

«A quell’epoca non si pensava alle piattaforme digitali, a Spotify. E questo era positivo per la musica», rimpiange. «Si era più genuini. Oggi è cambiato l’approccio, quando si compone si pensa a come andare su tale playlist, ai codici di scrittura. Canzoni come Levati e Penelope, spara! sono prive di ritornello. Era più divertente, non avevi le mani legate come oggi».

La copertina dell’album

La riedizione del disco Gli eroi non escono il sabato diventa così l’occasione per ritrovare il divertimento nello stare insieme e nel suonare insieme. L’album si trasforma in un convivio. Carnesi offre le sue canzoni in pasto ai suoi amici per presentarle in una maniera diversa. Alcuni hanno rispettato il mood dell’originale, altri hanno impresso la propria impronta in un modo più o meno marcato. «Dario Mangiaracina ha stravolto Il colpo, alla quale ha dato lo stile della LRDL: la canzone è come se fosse diventata loro. Anche Lo Stato Sociale offre una lettura più dinamica di Medusa e Gregorio Sanchez ha rifatto l’arrangiamento di Moleskine. Quella che, in effetti, sembra davvero un’altra canzone è Mr. Robinson». Un brano originariamente folk-rock e che invece Donato Di Trapani ha proiettato in una dimensione elettronica, a metà strada fra Depeche Mode e Radiohead.

Oggi, come allora, suggella il tutto un bellissimo sfogo, un urlo di liberazione degno del miglior Rino Gaetano, eppure con una consapevolezza in più: Mi sono perso a Zanzibar. «È l’unica canzone in cui era già presente un featuring, quello di Brunori SAS. La collaborazione nacque agli esordi della nostra amicizia: avevo perso le chiavi della macchina dopo un concerto in Sicilia e Dario simpaticamente si offrì di aiutarmi a cercarle. Alla fine ci scambiammo dei dischi ed io gli proposi di affiancarmi nel cantare “Zanzibar” perché mi occorreva una voce matura per questo viaggio che si dislocava in un arco temporale di dieci anni. Ora che il decennio è trascorso sul serio, mi sono ritrovato ad invertire le parti: io sono pronto per la voce “matura”, invece Dario, si sa, mentre invecchia, ringiovanisce».

Tornare al tuo album di esordio, ti ha aiutato anche a recuperare la tua identità e la tua collocazione temporale che, in un incontro avvenuto sei anni fa, mi dicevi traballante?
«Se in quel periodo mi sembrava di vivere in un Limbo, tra la Generazione X e quella dei Millennials, con un piede da una parte e l’altro dall’altra, ora mi sento più distaccato. Alcune dinamiche non mi interessano più, affronto la vita con maggiore cinismo. Io sono passato dalle cantine ai social. Dapprima ho pensato se e come utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione, ora posso dire che i social non servono a niente».

Come tanti protagonisti di quell’epopea eroica vissuta a Palermo dieci anni fa, anche tu hai lasciato la Sicilia e ti sei trasferito al Nord. Nel tuo a caso, a Bologna. Questo perché in questi dieci anni a Palermo si è persa la vivacità creativa di allora?
«Sono cambiati i tempi, oggi non potrebbe ripetersi quello che accadde dieci anni fa. Allora si stava nelle strade e nei locali, oggi la gente vive sui social. Forse quella dinamica c’è nell’urban, nell’hip hop, nel trap, ma sempre in una forma diversa».

Una curiosità, che non ti chiesi al tempo. Perché il brano che dà il titolo all’album è stato inserito nel capitolo successivo?
«Sai che non lo ricordo più? Il brano nacque dopo l’ispirazione del titolo del disco. O forse perché l’aveva fatto un gruppo, mi sembra i Pearl Jam, e mi divertiva l’idea… L’ho messo nel secondo album perché lì prendeva un’altra eccezione: gli eroi non escono il sabato perché vanno per altre galassie».

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