Quali sono i limiti di un rapporto educativo? E in che modo stabilirli? Me lo chiedo quando la richiesta di uscire dalle chat con gli alunni da parte della mia preside mi risveglia dall’interesse superficiale con cui seguo da remoto il primo collegio dei docenti del nuovo anno scolastico.  «Non è opportuno che i ragazzi abbiano il vostro numero telefonico e voi i loro» ci viene detto, e ne comprendo i motivi. Si vorrebbe evitare, probabilmente, che studenti e studentesse, anche nei momenti più improbabili, vengano inondati da materiali didattici che lo zelante professore non ha avuto tempo di esporre durante la lezione, oppure che eventuali commenti inopportuni finiscano in rete a onta di tutta la scuola.

Dunque ogni rapporto con gli studenti dovrebbe iniziare e finire in classe. Mi domando però se questo sia davvero per il bene di tutti. Un rapporto può dirsi realmente educativo se confinato preventivamente a un luogo e un tempo determinati, superati i quali diventa inopportuno o, peggio, sospetto? Oltre alla mia riconoscenza per gli insegnanti che hanno offerto a me e ai miei compagni un rapporto che è andato ben oltre il suono dell’ultima campana, mi viene in mente la gratitudine del preside del Liceo Scientifico di Caltagirone, Giampiero Puglisi, nel raccontare del suo professore di Italiano che, a Comiso, invitava gli alunni a casa propria per discutere di tutto, non competenze o abilità bensì la domanda di senso della vita da indagare insieme in un’ipotesi di significato, si chiamava Gesualdo Bufalino.

Finito il tempo degli oratori e dei luoghi storici dell’impegno politico come contesti di aggregazione e di scambio tra adulti e ragazzi, quale altra occasione rimane se anche la scuola si limita alle ore di lezione in classe? Specie per coloro che mostrano più fragilità di altri e a proposito dei quali, sempre più spesso, si ascolta il ritornello: «E se sbaglio? E se il mio alunno compie un gesto inconsulto? Chi ci va di mezzo? Io. Ci pensi lo specialista». Tuttavia, senza voler banalizzare il contributo dell’esperto, il rischio è quello che, evaporata la figura dell’adulto, a rimanere sia solamente il “branco” dei coetanei con la sua logica: quella del più forte.

È allora necessario ricostruire un’alleanza tra insegnanti e genitori. Non una fiducia incondizionata, ma una comune responsabilità educativa che sgorghi da uno sguardo attento alla vita dei nostri ragazzi. Che passi anche dalla comune presenza in una chat, poiché anche da lì può levarsi un grido da riconoscere e ascoltare, a dimostrazione che, per quello che ci riguarda, noi non li abbandoniamo.

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email