Quella andata in scena al Teatro Massimo Bellini  è l’espressione in opera sacra dell’ultima volontà del compositore, scomparso centocinquant’anni fa e fatta rivivere grazie alla direzione di Gea Garatti Ansini

Si tratterà, forse, di un’opera di redenzione, la Petite messe solennelle? Che sia «musica benedetta» o soltanto «della benedetta musica», Gioacchino Rossini ha lasciato ai posteri un testamento musicale che – così sembra – vorrebbe offrire uno spiraglio di paradiso a una vita dedita alle composizioni buffe.

Quella andata in scena al Teatro Massimo Bellini sabato 19 maggio è l’espressione in opera sacra dell’ultima volontà del compositore, scomparso centocinquant’anni fa e fatta rivivere grazie alla direzione di Gea Garatti Ansini. Non è stato un caso che si sia scelto di eseguire proprio quest’opera in occasione dell’anniversario della sua morte, così come non si è trattato di un caso che Catania abbia voluto omaggiarlo con il delizioso Capriccio per pianoforte per uso della Signorina donna Luisella D’Andreana di Vincenzo Bellini, eseguita da Francesco Nicolosi ad apertura dello spettacolo. Quella stessa Catania che assieme lo omaggia e non ne rinnega il repertorio: il Bellini «leggero» introduce il Rossini «sacro», meno conosciuto, ma non per questo meno emozionante, e contemporaneamente ricorda agli spettatori che opera buffa non è sinonimo di frivolezza, che un passato come quello del pesarese non va rinnegato, bensì riscoperto assieme al versante religioso.

E sempre Francesco Nicolosi, assieme a Gaetano Costa e Paola Selvaggio, hanno accompagnato le quattro voci soliste – Alexandra Oikonomou, Sonia Fortunato, Saverio Pugliese, Francesco Leone – e il coro del Teatro coi due pianoforti e l’armonium nell’esecuzione del testamento rossiniano. Di sentimento ve n’è stato e ve ne sarà fino a che esisterà chi saprà apprezzare il repertorio di Rossini, sia esso sacro o profano. Se è vero che dell’opera buffa Rossini ha scritto che si tratta di «poca scienza, poco cuore», è altrettanto vero che queste due componenti sono state percepite da chi l’ha ascoltata e l’ascolta tuttora. Si tratterà sicuramente di un «cuore» diverso, ma certo è che si avverte sia nel primo che nell’ultimo Rossini. Tanto dovrebbe bastare alla redenzione.

 

 

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