Tra imprenditori non sempre in grado di cogliere le opportunità del cambiamento e uno scenario in continuo mutamento, quale percorso di studi offre maggiori possibilità? E come capitalizzare questo tipo di risorse nella nostra isola?

Revenue manager, influencer marketing, travel blogger. Negli ultimi anni lo scenario delle professioni legate al turismo ha affiancato a figure tradizionali, come guide e receptionist, profili sempre più legati al digitale e a un’idea di vita costantemente connessa. Ma in che modo il sistema lavoro-formazione s’è adattato a queste nuove esigenze? Molti giovani che si affacciano a questo settore hanno l’impressione di trovarsi in una vera e propria giungla, fatta di opportunità non chiare e imprenditori non sempre in grado di cogliere le opportunità del cambiamento. Come orientarsi? Ne abbiamo discusso con due esperti, il professore Marco Platania, docente di economia del turismo presso il dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Catania e con il professore Benedetto Puglisi, che insegna presso l’università Ca Foscari di Venezia ed è direttore del master in Tourism, Hospitality and Event Managment (THEM) di Catania.

UNA QUESTIONE DI COMPETENZE… MA NON SOLO. Conoscere le lingue straniere (non solo l’inglese) è da sempre il primo requisito per chi vuole intraprendere una carriera nel settore turistico, ma per ricoprire profili innovativi come quello del revenue manager, che fissa quotidianamente i prezzi delle camere, il brand reputation manager, che gestisce e controlla la reputazione di strutture e servizi, o ancora l’influencer marketing, il quale si occupa dei social, è oggi necessaria una formazione specifica, in grado di coniugare aspetti digitali e di managment. «In questo senso – spiega il prof. Puglisi – una formazione mirata e costantemente aggiornata è un elemento imprescindibile. Tutto questo, però, sarà vano se non affiancato dall’idea chiara che l’obiettivo di chi lavora in questo settore è gratificare gli ospiti». Questi ultimi, del resto, hanno oggi pretese sempre più legate alla ricerca di attività esperienziali che lascino un’impronta decisiva nella loro vita. «In questo senso – spiega Marco Platania – è fondamentale partire dal presupposto che per essere un buon professionista del turismo bisogna essere prima di tutto un buon turista. Si tratta di un valore imprescindibile, che tuttavia in Sicilia è spesso da riscoprire».

I CORSI DI LAUREA IN SICILIA. Quale percorso di studi seguire in Sicilia per lavorare nel turismo? A Catania va considerata la laurea triennale in Formazione di operatori turistici erogata dal Dipartimento di scienze della formazione, che tuttavia difetta di un corso di laurea magistrale. Per ampliare l’offerta formativa Benedetto Puglisi da alcuni anni organizza a Catania il master in Tourism, Hospitality and Event Managment. «L’idea – spiega – è quella di formare quei profili professionali più richiesti dalle aziende affiancando la teoria alla pratica, assai carente nelle aule universitarie. I risultati sono buoni e vantiamo anche iscritti che arrivano dal Nord Italia». A Palermo, invece, da quest’anno i giovani che hanno già conseguito una laurea triennale in Scienze del turismo presso il Dipartimento di economia, possono proseguire il proprio percorso con la magistrale in Tourism systems and Hospitality management, interamente in lingua inglese, che vanta la collaborazione con la Florida International University. Più tradizionale la formazione in provincia di Messina, con una laurea magistrale in Management del turismo e dell’ambiente presso il Dipartimento di economia ed una in Turismo e Spettacolo, erogata dal Dipartimento di scienze cognitive, psicologiche pedagogiche e degli studi culturali.

PUNTARE SUL TURISMO DI QUALITÀ. Sebbene nella percezione comune i flussi turistici diretti nella nostra isola siano notevolmente aumentati, qual è il reale impatto sul territorio? E come capitalizzarlo al meglio? «Valutare il solo aumento dei turisti – spiega ancora il prof. Platania – non è traducibile in un’effettiva crescita del PIL. Bisognerebbe piuttosto guardare a indicatori come la spesa media per ciascun turista che, se ad esempio in Trentino si attesta intorno ai 140 euro al giorno, in Sicilia è di soli 80 euro». La causa principale starebbe in un’offerta poco strutturata, per far fronte alla quale bisognerebbe puntare su alcuni settori particolari. «Il turismo golfistico – continua Platania – è molto remunerativo e potrebbe essere incentivato ulteriormente. Molto lavoro si potrebbe fare anche nell’ambito congressuale. La Sicilia, da questo punto di vista vanta grande interesse nonostante le nostre strutture ricettive siano per lo più incapaci di accogliere un gran numero di ospiti. Un esempio? Il Google Camp, che nel 2017 è stato organizzato per la terza volta ad Agrigento». Da non trascurare poi altre “nicchie” come il wine tourism, il cineturismo, o il turismo religioso, significativamente cresciuto anche a seguito della recente riscoperta delle vie francigene. «Da non trascurare – conclude il docente – anche il viaggio incentive, ovvero il viaggio-premio promosso da singole aziende che individuano nella nostra isola una delle destinazioni più adeguate». Insomma, ancora una volta, le opportunità in Sicilia non mancano, saremo in grado, con un’azione sinergica di formazione, istituzione e imprenditoria, di saperle cogliere?

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