L’allure di un grande passato e prezzi (relativamente) modici, con una scena gastronomica in grado di sorprendere e un’offerta museale in ascesa: questo l’identikit della città di Palermo secondo il New York Times. A otto anni dalla prima guida ad essa dedicata, la rubrica della testata statunitense “36 hours” – nata dieci anni fa per offrire spunti a chi ha solo un weekend per visitare un luogo – ritorna nella capitale siciliana con un nuovo itinerario a firma del giornalista Seth Sherwood con le foto di Francesco Lastrucci. Tra una strizzata d’occhio alla fascinazione tutta americana per il cibo italiano – molte le tappe gastonomiche previste dall’itinerario – e qualche interessante dritta per soste più culturali, il consigli di Sherwood delineano una tre giorni piuttosto densa di spunti (anche per i siciliani). 

L’ITINERARIO. Il weekend prende il via da Palazzo Butera. Storica dimora aristocratica – vi soggiornarono anche Goethe e il kaiser Guglielmo II – situata nel quartiere Kalsa, dal 2021 il palazzo è sede dell’esposizione dell’eclettica collezione dei coniugi Valsecchi, tra lampade di Tiffany e installazioni di Tetsumi Kudo. Obbligatorio è pure il rituale della “passiata”: partenza dai “Quattro canti” per proseguire lungo via Maqueda, tra negozi di souvenir, gelaterie e l’occasione di provare l’immancabile cannolo siciliano. Una cena su una terrazza panoramica e un calice di vino naturale gustato a tarda serata in uno dei locali che costellano i marciapiede della Kalsa concludono la giornata di venerdì. Un bagno nella ricchezza architettonica del capoluogo contrassegna la mattinata di sabato, con una capatina alla chiesa bizantina di Santa Maria dell’Ammiraglio, a quella araba-normanna di San Cataldo fino allo splendore barocco di Santa Caterina d’Alessandria. Una sosta nelle boutique della Kalsa e un pranzo leggero a base di pesce fresco al vicino Mercato del Capo anticipano il piatto principale della giornata: una visita al Centro Internazionale di Fotografia, dove familiarizzare con la realtà della mafia attraverso gli scatti di Letizia Battaglia, Filippo La Mantia e Franco Zecchin. Una domenica piuttosto ordinaria – che Sherwood consiglia di impiegare curiosando per le bancarelle del mercatino delle pulci di Piazza Marina e lasciandosi travolgere dal tripudio dello street food del mercato di Ballarò – conclude l’itinerario proposto.  

I COMMENTI. Variegate le reazioni dei lettori che, in buon numero, hanno commentato la guida. Non sono mancati, ad esempio, coloro che hanno sottolineato alcune imperdonabili dimenticanze. È il caso di un utente di Boston che lamenta l’assenza, definita «barbarica», della Cappella Palatina (tappa comunque suggerita nella versione del 2015 della guida). Un lettore che scrive dalle Hawaii rincara la dose, definendo il sito «una Cappella Sistina bizantina». Costanza (una donna palermitana), si aggiunge invece al coro di coloro che si aspettavano di vedere indicato il Duomo di Monreale. Tra questi, Sitges da San Diego, che scrive: «Non menzionare Monreale è un crimine. Ho visitato la cattedrale di Hagia Sofia a Istanbul e, dimensioni a parte, con quella di Monreale non c’è confronto». C’è anche chi si spinge più in là con i suoi strali, come un certo Wendell Murray dalla Pennsylvania che suggerisce al NYT di aggiustare il tiro, accusando la guida di privilegiare troppo la vita notturna e la gastronomia a spese di un turismo più a contatto con la realtà del luogo. Ancora più trenchant l’opinione dell’utente di San Diego, secondo il quale «“36 ore” sarebbe più indicata per la sezione del quotidiano dedicata al cibo». Qualcuno, infine, invita alla moderazione: «Cercate di rilassarvi – scrive Frank da Denver. Lo scopo della rubrica è semplicemente quello di dare ai lettori un’idea su come sarebbe spendere soltanto 36 ore in un luogo. Chiaramente, nessuno farebbe davvero un viaggio tanto lungo per così poco tempo. Dal canto mio, sono stato diverse volte in Sicilia e posso dire che si tratta del mio luogo preferito in assoluto. Anche io potrei stilare le mie ipotetiche 36 ore a Palermo, ma sentire l’opinione di qualcun altro è sempre stimolante».

UN MONDO A SÉ. Controversie a parte, quel che è certo è che una città tanto ricca e interessante come il capoluogo siciliano si presta decisamente bene agli itinerari più diversi. Caratteristica distintiva, in fondo, della Sicilia nel suo insieme di cui i suoi abitanti hanno una, seppur tacita, consapevolezza. Sembra essersene accorto anche l’autore della guida, che più dalle meraviglie architettoniche o gastronomiche, è rimasto colpito proprio da questo sentimento dei siciliani essere custodi di qualcosa di speciale. Ne è testimonianza un murales in cui si è imbattuto durante il suo soggiorno, che recita “La Sicilia non è l’Italia”: «è un segno – scrive Sherwood – che alcuni tra gli stessi palermitani ritengono la città un unicum, sia dal punto di vista esteriore sia da quello culturale, rispetto al resto del paese».

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