Le nostre vite, che ce ne si accorga o meno, sono fatte di inchiostro. Non soltanto perché, molto spesso, si riflettono su pagine ingiallite contenenti le peripezie di personaggi che finiscono per starci decisamente a cuore. Ma perché, quasi come in un incantesimo di cui è impossibile svelare la natura, quei medesimi personaggi non sono che nostri antenati o discendenti. Compagni di confessioni e nemesi insopportabili. Alter ego animati dalla nostra lettura e contemporaneamente, potenzialmente, infinitamente, da quella di chiunque altro. Sono dunque romanzi, le nostre vite. Storie che andiamo scrivendo sulle righe traballanti del tempo e spettacoli a cui talvolta, pur essendo chiamati a rivestire un ruolo di primo piano preferiamo non prendere parte, sedendoci mestamente in platea. Stralci di testo che vengono sublimati nell’esistenza letteraria di qualcun altro. E che da sempre, in modi imprevedibili, rappresentano la base della nostra umanità e della sua costruzione del sapere. Qualcuno, d’altro canto, sosteneva che l’opera più importante di tutte sarebbe stata una sorta di campionario delle figure plasmate dalle penne più sapienti che si sono alternate nei secoli. Ma a cosa mai potrebbe servire, direte voi, una galleria di nomi e volti immaginari? Sarebbe un po’ come chiedersi il senso dell’esistenza di un museo. O il perché un archeologo ritenga necessario intestardirsi negli scavi. O, ancora, per quale ragione un antiquario dovrebbe battersi per sottrarre all’oblio manufatti a cui è ancora possibile conferire una nuova vita. La risposta, in ogni caso, è sempre la stessa: è nella ricerca appassionata degli elementi fondativi che l’uomo eleva il proprio sentimento. Che riscopre, nella singolarità della propria esperienza, il legame con ciò che ne sta al di fuori.

Un campionario, dunque. O forse un breviario. O, perché no, una vera e propria enciclopedia della grande narrazione. Sarebbe proprio questo ciò che servirebbe. Ma si dà il caso che un’opera del genere, slegata da ogni genere di convenzione e di etichetta, esista già. E che sia stato un grande siciliano a concepirla e realizzarla. Un siciliano che, per l’occasione, ha saputo indossare i panni di scrittore, archeologo, custode di museo e antiquario. Quel Gesualdo Bufalino che nel 1982, per Il Saggiatore, diede alle stampe Dizionario dei personaggi di romanzo. Da don Chisciotte all’Innominabile. E, in effetti, di qualcosa che ricorda un dizionario classico, almeno ad un’occhiata vagamente analitica, l’opera sembra avere l’aspetto: sono 132 i personaggi menzionati, estratti da romanzi che coprono un arco di tempo che va dal XVII al XX secolo. Ad ognuno di essi, dopo una sorta di scheda introduttiva, è dedicata una definizione sintetica, che ne illustra i tratti più marcati e distintivi. Ma è proprio qui, nella effimera e fulminea semplicità dell’operazione, che Bufalino sguinzaglia il proprio genio. Perché non c’è una scheda, un accenno, una citazione fugace che non rechi ben visibile il tocco erudito e acrobatico dello scrittore di Comiso. La sua inesauribile devozione verso quel mondo parallelo, che profumava di giovinezza spesa tra polverosi scaffali di biblioteche e silenziosi angoli di cameretta, che finiva, chissà come, per incrociare quello materiale. Ogni personaggio si trasforma così in un racconto dentro il racconto, in una singolare esegesi che si avvale dei ricordi e delle emozioni del Bufalino lettore, in un proliferare di significati e intuizioni che quelle figure sembrano quasi sdoppiarle, triplicarle, moltiplicarle all’infinito pur nella loro inconfondibile unità.

C’è spazio, naturalmente, fin dal titolo, per l’anti-eroe di Cervantes, definito come «uno dei massimi emblemi letterari d’ogni epoca. Templare e romeo dell’ideale, indeciso fra realtà e visione, dissennatezza e senno, lacrime e umore; lirica marionetta che rimette ogni volta a posto i suoi pezzi bastonati e malconci dopo l’ennesima testarda collisione coi giganti a vento e le nuvole… Questo e mille altre cose ancora: metafora di libertà»; per l’immancabile tributo alla narrativa manzoniana, nella persona dell’Innominato, «montuoso e solitario, come il suo castello. Senza un amico né una donna. Con mani e sogni sporchi di sangue ma, nel cuore, un’uggia misteriosa, e insieme un barlume di bene e una nostalgia, come “la rimembranza della luce in un vecchione accecato da bambino” (detto per altri, ma vale per lui). Da qui la sua interminabile notte di passione, la sua doglia impervia e dolorosa, finché, in un’alba di cenere, l’uomo nuovo venga alla luce. Splendida rivitalizzazione d’un usato stereotipo gotico, nel segno di una coscienza religiosa che fra fede e ragione non esita a scegliere entrambe»; per il prode e ardente D’Artagnan, del quale si dice che numerose adolescenze «sono impennacchiate allo specchio! Convinte che, il torto e il diritto, basti un colpo di spada a spartirli; e che la via sia una festa e giostra di creste, sproni e chicchirichì. E tuttavia il guascone non è un innocente: il suo liscio coraggio, la sua bravura professionale di ammazzasette, la lealtà melodrammatica ai riti dell’onore e dell’amicizia, non sono senza qualche spirito e controcanto ironico, tragico addirittura: come quando dalla sponda del fiume vede levarsi sotto la luna la mannaia del carnefice sulla gola pallida di Milady»; senza dimenticare la candida Alice «volta a volta gigantessa e nana, nell’al di là, pozzo o specchio, dove un sonno-sesamo l’ha precipitata» o l’inquietante vicenda di del Gregor Samsa di Kafka tramutatosi in scarafaggio, «metafora di uno stato di alienità e solitudine senza speranza, da cui si leva, fra macchie di escrementi e bave, pietosamente un’implorazione». E poi ancora Gulliver, Moli Fanders, Cappuccetto Rosso, Zeno Cosini, Raskolnikov, Jane Eyre. È scandagliando con tutto sé stesso i loro trascorsi che Bufalino rinviene non appena una nutrita e familiare schiera di protagonisti letterari, ma qualcosa di più. La chiave di volta dell’intera civiltà occidentale.

Perché quei tipi romanzeschi, quelle maschere, sono anche tipi umani. Maschere indossate ogni giorno. La rappresentazione plastica di quanto la vita sappia essere affascinante e multiforme: «Ci sono il picaro, il giramondo curioso, il bighellone triste, lo zotico furbo, la traviata di buon cuore, il briccone celeste, il libertino, l’eroe del nostro tempo, l’eroe doppio, il pazzo savio. Ma ce ne sono altri…». Già. L’opera è aperta. E si sta continuando a scriverla tuttora.

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