Nasce a Catania la scuola di formazione grazie a investimenti di Unicredit e Experis, e che da giugno partirà con i primi corsi online. Antonio Perdichizzi, CEO di Tree, azienda promotrice del progetto, ci spiega perché è ora di puntare tutto su Meridione all’insegna dell’innovazione

Dal prossimo giugno per i giovani del Sud il futuro sarà un po’ meno minaccioso e incerto. Mille di loro avranno infatti la possibilità di perfezionare gratuitamente le proprie skill nel digitale e aprirsi un varco nel mondo del lavoro grazie alla Tree school. Il polo di formazione con sede a Catania darà infatti il via ai primi due corsi per front-end developer e per data scientist in forma, almeno inizialmente, digitale. A settembre inizieranno i corsi ibridi, online e con presenza in aula. «Il credo di Tree – afferma in proposito Antonio Perdichizzi, fondatore e CEO della società che dal 2012 si occupa di formazione e open-innovation con sedi a Catania, Milano e Roma – è che senza le competenze, sia tecniche che trasversali, non ci possa essere innovazione». Il progetto, della durata prevista di tre anni, nasce anche grazie a partner come Experis, brand di ManpowerGroup, leader in 50 paesi nella Ricerca e Selezione del personale, e Unicredit con il suo programma di Social Impact Banking, i quali hanno investito cumulativamente oltre 3 milioni di euro. Ma cosa ha spinto Tree e i suoi partner a puntare tutto sul Sud e sulla Sicilia? Lo abbiamo chiesto proprio all’ideatore dell’iniziativa.

 La Tree school è un progetto ambizioso che nasce in un momento del tutto particolare. Su quale terreno affonda le radici l’idea di focalizzarsi sulle professioni digitali e quale ruolo ha giocato la pandemia nella sua realizzazione?
«Ci tengo a precisare che il progetto non è nato sulla scorta di Covid-19, ma è stato concepito più di un anno fa con l’intento di trovare la soluzione ad un paradosso che ci portiamo dietro da anni, in particolar modo in Sicilia. Se da un lato, infatti, le imprese denunciano una crescente difficoltà a reperire le figure professionali di cui hanno bisogno, specialmente del campo dell’Information Technology, dall’altro, il tasso di disoccupazione al Sud rimane elevatissimo. Ciò non soltanto genera piaghe sociali come i “cervelli in fuga” ma rappresenta un serio problema per le stesse aziende le quali, private del capitale umano necessario, stentano a rimanere competitive sul mercato, a detrimento di tutto il tessuto economico-produttivo. A partire da queste considerazioni e dalla convinzione che ogni azienda debba tenere in grande considerazione l’impatto sociale delle sue attività, generando opportunità per il territorio in cui opera, in Tree abbiamo deciso di operare una scelta di campo: concentrarci esclusivamente sul nostro territorio, la Sicilia. Abbiamo tantissimi giovani meritevoli di un’opportunità. Tree school vuole fare proprio questo: selezionarli, formarli e fornire loro una concreta chance di trovare una collocazione nel mondo del lavoro».

Antonio Perdichizzi

A proposito di sbocchi lavorativi, parte integrante dei corsi offerti sarà contatto costante con le realtà aziendali. Come riuscirete a far dialogare fruttuosamente didattica e opportunità di placement una volta terminate le lezioni?
«Nel campo dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, esistono realtà già consolidate che operano con efficacia nel settore. Ci siamo semplicemente alleati con una di queste. Uno dei nostri partner è infatti Experis, società del gruppo Manpower, che si occupa di placement specialmente dei profili IT. Grazie al loro investimento nel progetto, e a quello di Unicredit, non solo abbiamo avuto la possibilità di rendere i corsi completamente gratuiti ma in virtù del loro network e competenze i nostri studenti saranno sin da subito in contatto con la realtà aziendale e avere solide opportunità di placement. Siamo certi che con il loro supporto, in quanto azienda leader in Italia e nel mondo nel mettere in contatto talenti e aziende, raggiungeremo il nostro obiettivo minimo del cinquanta percento degli iscritti inseriti nel mondo del lavoro al termine dei corsi. Con l’auspicio di raggiungere numeri ancora più alti».

L’epidemia di Covid ha, tra le altre cose, riaffermato il potenziale economico del settore digitale per il futuro. A cosa è dovuto, allora, il gap domanda e offerta lavorativa in un settore che dovrebbe essere una calamita per i nostri talenti? Sono troppo pochi i giovani che si interessano ai percorsi di laurea scientifici o il problema risiede altrove?
«Purtroppo, molto spesso la responsabilità di questa situazione viene addossata interamente su scuola e università. Certamente, i programmi potrebbero essere maggiormente attenti alla concretezza e alle esigenze a cui gli studenti dovranno far fronte una volta lasciati i banchi di scuola e le aule universitarie. Tuttavia, credo che ci sia un altro fattore in gioco. Il mestiere di programmatore, specialmente in Italia, non è percepito come un lavoro “sexy”. I ragazzi, e soprattutto le ragazze, hanno un’immagine dell’esperto in information technology come una sorta di “operaio dei dati”. Un “amanuense” che si limita a scrivere stringhe di codice. In realtà, quello di programmazione, non è soltanto un linguaggio per impartire istruzioni ad una macchina, ma è uno strumento prezioso per interpretare la realtà. Altresì, i ragazzi spesso non si rendono conto dello straordinario contributo che con il possesso di queste abilità possono dare al progresso dei Paese. Nel nostro piccolo vogliamo contribuire ad un cambiamento di percezione e diffondere una nuova aura attorno alle professioni digitali».

I primi corsi di perfezionamento inizieranno a breve. In tal senso, a essere coinvolti saranno esclusivamente i laureati e laureandi in discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) o anche i giovani umanisti troveranno spazio nel processo di selezione?
«In linea generale, durante le selezioni, verranno privilegiati i profili scientifici. È una questione di coerenza: affinché gli iscritti possano trovare poi uno sbocco lavorativo, il che rappresenta il nostro obiettivo primario, il mercato richiede che si mantenga uno standard di competenze elevato. Tuttavia, i nostri corsi sono aperti anche ad altre categorie: ad esempio, alcuni dei diplomati negli istituti tecnici e professionali potrebbero avere già maturato un set di skill necessario ad essere ammesso ai corsi. Per quanto concerne i giovani con un background non scientifico, invece, tra i corsi proposti, quello di data scientist e machine learning ha un carattere ibrido. È un settore che richiede conoscenze non solo matematiche ma anche in ambito economico, filosofico e umanistico in genere».

Dopo un inizio delle lezioni in forma esclusivamente telematica, a partire da settembre è prevista anche una presenza fisica dei corsisti in aula. In che tipo di spazi prevedete di mettere in pratica la didattica frontale?
«In Sicilia sono presenti numerosi spazi al momento sottoutilizzati e dal potenziale ancora inespresso. Alcuni di questi li animiamo già, rendendoli poli di innovazione. Con la Tree school ne vorremmo abilitare degli altri: non abbiamo in mente di prendere in gestione un intero edifico per trasformarlo in sede della scuola bensì ma individuare spazi più circoscritti, tramutandoli in quelle che ci piace chiamare “tree house”. Ideali case sull’albero, altamente tecnologiche, che ospiteranno device avanzati per ciascuno studente, realtà aumentata e grandi lavagne per potenziare la didattica».

Quali saranno requisiti e modalità di accesso ai corsi?
«Sul nostro sito è possibile trovare tutti i dettagli su corsi e su come partecipare alla procedura di selezione. Occorrerà inserire i propri dati e cv e prendere parte ad un test valutativo.  I candidati saranno quindi invitati a prendere parte a dei colloqui individuali e, per alcuni dei corsi, la selezione prevederà anche un coding game: una piccola competizione per saggiare le competenze tecniche e le soft skill dei candidati. L’innovazione passa anche qui».

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