«Il cinema è un’arte e al contempo uno strumento di diffusione di conoscenza, che ci consente di fantasticare e di viaggiare, ma anche imparare. Il suo, infatti, è un potere altamente evocativo: veicola messaggi e al tempo stesso suscita emozioni, consapevolezza condivisa e responsabilità, registrando – fra le altre cose – la sensibilità delle nuove generazioni alle tematiche più attuali del nostro tempo».

Sono queste le parole di Enrico Nicosia, geografo presso l’Università di Messina e autore di diversi studi su ambiente, territorio e cinema, che abbiamo intervistato in occasione dell’uscita dell’ultimo lavoro di cui è curatore insieme a Lucrezia Lopez, geografa all’Università di Santiago di Compostela: Cinema, disasters and the Anthropocene (Il Sileno Edizioni, 2022), una raccolta di saggi full open access ospitata all’interno della collana Geographies of the Anthropocene della casa editrice calabrese, che si configura come la prima pubblicazione accademica volta a declinare in chiave cinematografica il tema dell’Antropocene, ovvero l’era geologica determinata dall’attività umana attualmente in corso.

L’ANTROPOCENE E I DISASTER MOVIE. In un periodo come quello che stiamo vivendo, infatti, c’è da chiedersi in che modo il concetto di Antropocene stia influenzando la produzione e il consumo di film, giocando un ruolo importante nella rappresentazione di società alternative e di distopie climatiche, per esempio, ma anche nella descrizione che viene riservata alla rivoluzione industriale e alla Grande Accelerazione. «Questa – ci spiega Nicosia – è la domanda che ci siamo posti noi per primi, e che abbiamo poi rivolto agli autori provenienti da tutto il mondo a cui abbiamo mandato una call for paper. Da geografo, infatti, io sono particolarmente interessato a capire come il territorio subisca l’azione scellerata dell’uomo, mentre da appassionato del cinema mi incuriosisce come la settima arte racconti poi i vari aspetti dell’Antropocene». Ecco perché il saggio spazia tra contesti e argomenti diversi, dalla metafora degli zombie nell’ambientalismo in Nigeria agli stereotipi del cinema giamaicano, passando per le alluvioni in quello indiano e per i paesaggi idroelettrici alpini, a dimostrazione del fatto che il cinema sull’Antropocene è un cinema sui disastri, che talvolta assume la forma di un documentario dedicato ai luoghi da tutelare o che, sempre più spesso, parla invece di quelli verso cui fuggire.

«Ora noi spettatori recepiamo diversamente certi tipi di film, con più intensità, perché gli effetti dell’Antropocene sono già arrivati nelle nostre case»

LE REAZIONI AL CINEMA GREEN. È il caso di Avatar, il blockbuster di James Cameron che, pur non essendo oggetto di trattazione nel volume, secondo Nicosia può rientrare tra i titoli di un filone cosiddetto green. «Avatar – è infatti il suo commento in merito – è diventato fin da subito un caso studio per noi geografi, per via degli effetti che la sua terra ancora vergine ha sortito sull’immaginario collettivo». Era il 2009, e sono stati migliaia gli spettatori che hanno provato una forte inquietudine nel confrontare quel mondo caratterizzato dalla profonda connessione tra ogni essere vivente, e il nostro mondo, dilaniato invece dallo sfruttamento di viventi e risorse naturali. Quel malessere, definito non a caso dai giornali la “sindrome post-Avatar”, si è ripresentato lo scorso dicembre, con l’uscita del secondo capitolo intitolato Avatar. La via dell’acqua – e stavolta con un’ulteriore punta di amarezza. «Ora – ci spiega al riguardo Nicosia – noi spettatori recepiamo diversamente certi tipi di film, con più intensità, perché gli effetti dell’Antropocene sono già arrivati nelle nostre case e ci portano a operare un confronto fra la pellicola che abbiamo davanti e ciò che noi, nella realtà, non potremo più essere». Con la conseguenza che, uscendo dalla sala, la sensazione è che ai titoli di coda sia giunta ormai l’umanità.

La locandina di Avatar. La via dell’acqua

CIAK, SI INQUINA? Pensandoci meglio, però, una domanda sorge spontanea: e se i film sull’Antropocene fossero essi stessi una delle cause dell’Antropocene? La quantità di anidride carbonica di cui sono responsabili le produzioni filmiche è dopotutto immensa, e i relativi dati sono già stati ampiamente analizzati e verificati nel corso degli anni. «Quello del cinema è un business», ci fa notare non a caso Nicosia, «e di fronte a certi interessi è inevitabile che la sostenibilità passi in secondo piano». Per fortuna, comunque, sembra che qualcosa si stia muovendo nella direzione giusta, anche se ci vorrà ancora del tempo per capirne la portata effettiva a livello internazionale. «La politica sta attuando misure sempre più concrete – sottolinea Nicosia -, ma dobbiamo tenere presente che si tratta pur sempre di un meccanismo lento: le nostre classi dirigenti continuano a restare troppo legate al profitto, e sono in realtà le nuove generazioni a rappresentare la nostra migliore speranza di incidere sul mondo della cultura, affinché venga attenuato quanto prima quel processo di surriscaldamento globale che sempre più spesso è già sotto i nostri occhi nelle sale cinematografiche».

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