1903: la miniera di famiglia va perduta a causa di un incidente. La consorte dello scrittore accusa un crollo nervoso da cui non si riprenderà più. Povertà e solitudine sembrano avere la meglio nella sua vita. Ma proprio in quelle notti spese vegliando la donna ammalata, proprio da quella sofferenza, il suo primo capolavoro venne alla luce. Facendolo rinascere e dandogli nuova speranza per il futuro

Nella scrittura, nell’atto di trasporre un pensiero dall’immaginazione alla carta, è frequente che un meccanismo magico, a tratti inspiegabile, venga in aiuto dell’autore. Simile ad una vera e propria confessione, l’opera letteraria – a prescindere dal suo essere più o meno autobiografica – reca con sé un’ineliminabile dose di esperienza personale. Può capitare che l’autore ci si tuffi a capofitto, che i suoi personaggi condividano con lui i suoi drammi e le sue incertezze, senza che questo rispecchiamento sia voluto o cercato di proposito. La scrittura è una vera e propria terapia dell’anima, un’occasione per mettersi di fronte a ciò che ci consuma, per affrontarlo, per trasformarlo in spinta propulsiva verso la rinascita. Questo genere di dinamica è ben presente ad ogni autore che si rispetti, ma a qualcuno più in particolare. Luigi Pirandello, infatti, si trovò dinanzi ad un bivio decisivo per la sua carriera e per la sua vita: lasciarsi andare alla disperazione del momento, inabissarsi nelle sabbie mobili delle difficoltà, o trovare una strada che nessuno avrebbe considerato possibile. Scelse la seconda.

Siamo nel 1903: la consorte del genio agrigentino, la ricca Maria Antonietta Portulano, accusa un repentino e irreversibile crollo nervoso. Già instabile da qualche tempo – i due si erano trasferiti a Roma e la donna aveva sofferto l’inedito distacco dal suo mondo di affetti siciliani – il colpo di grazia giunse inesorabile a sconvolgere la loro vita coniugale. La causa? Un grave allagamento alla miniera di zolfo di proprietà del padre di lei, principale e cospicua fonte di sostentamento economico. Non solo l’incidente li ridusse sul lastrico, costringendo lo scrittore a svolgere più mansioni in contemporanea per garantire alla famiglia una minima soglia di sostenibilità, ma sancì per Pirandello una tappa sofferta e decisiva della sua vita. Da marito affettuoso, si rifiutò, infatti, per lungo tempo di separarsi dalla sofferente compagna, accudendola sotto ogni aspetto fino al 1919, anno in cui fu inevitabile il suo ricovero in una struttura specializzata. Ma in queste tristi vicissitudini, Pirandello non fu solo: a fargli compagnia, fin dalle prime notti successive al manifestarsi della malattia della moglie, durante le accorate e interminabili veglie notturne, nacque il personaggio che garantirà al nostro scrittore il suo primo, vero successo: Mattia Pascal. Il romanzo venne pubblicato l’anno dopo, nel 1904, e al di là del suo indiscusso e notevole valore intrinseco il suo venire alla luce significò ben più che un riscatto economico. Nel comporre quelle pagine, per ammissione dello stesso Pirandello, quell’immenso dolore andò attenuandosi, la preoccupazione per un futuro incerto fu accompagnata dall’impegno del presente, la solitudine si tramutò in florido dialogo con se stesso, come se dagli abissi del suo cuore fosse stato capace di trarre in salvo quei frammenti di genio ancora pulsanti e luccicanti.

Perché c’è tutto Pirandello in quel romanzo così spiazzante che è Il fu Mattia Pascal: c’è nell’oppressione del protagonista all’interno del suo nucleo familiare, c’è nella scissione di un’identità che brama la sua ricomposizione, c’è nel disperato tentativo di sbarcare il lunario e ricominciare da zero. E c’è nel ritorno finale compiuto da Mattia, tanto infelice quanto carico di una nuova e più matura consapevolezza della vita. Sarebbe eccessivo addebitare al romanzo un indirizzo esclusivamente fondato sul vero vissuto del suo autore, così come ci farebbe spingere troppo in là sostenere – come pure è stato fatto – che l’interesse per il funzionamento della psiche umana derivi dagli anni passati al capezzale della moglie; ma è indubbio che queste sollecitazioni siano state fondamentali per la riuscita dell’opera. Nella creazione della finzione, nel suo intreccio con la realtà, l’autore sondava le sue stesse scelte, soppesava desideri e possibilità, si infondeva coraggio e cercava risposte soddisfacenti, specchiandosi in quel personaggio che, come lui, si metteva in discussione fin nei suoi radicamenti più profondi. Guidato dal flebile lumicino delle notti ansiose accanto alla moglie, Pirandello non rifuggì dalla vita e dai suoi crudeli dispetti: la affrontò, armato di penna e fantasia. Per questo Il fu Mattia Pascal non fu soltanto un successo economico, ma, di più, una svolta esistenziale. Probabilmente la risposta che in quelle notti disperatamente cercava. La conferma che la letteratura può salvare. Anche quando si cade in un pozzo senza fondo. Del resto, come amava dire: «La vita o si scrive o si vive, io non l’ho mai vissuta se non scrivendola».

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