Nell’epoca dove ogni luogo sembra raggiungibile in un attimo, dove la conoscenza umana fa passi da gigante e si applica per un futuro senza limiti, c’è ancora un posto rimasto intatto nel suo fascino, in cui bellezza e mistero si incontrano e restituiscono la vera dimensione del viaggiare. Che non è pensare di possedere ciò che si vede: il segreto è l’intreccio tra scoperta e spavento, la meraviglia che porta all’incomunicabile

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]V[/dropcap]iaggiare, voglio dire, s’apparenta alle due più esclusive ed esaltanti esperienze dell’uomo: amare e creare. Saper viaggiare è cosa creativa quanto una seduzione d’amore, una bella pittura, una frase musicale assoluta. Ove poi il luogo da visitare sia l’isola che dico io, ombrosa e lucente, gremita di vita e di morte, crogiolo di razze e crocevia di secoli, l’impresa risulterà più che mai portatrice di turbamento e rischio: se ogni viaggio significa una scommessa di conoscenza e felicità, il viaggio in Sicilia è un esame senza confronto, è l’Esame». Siamo anime itineranti. Anime alimentate dal fuoco del movimento che ci spinge costantemente oltre i limiti del già conosciuto. È questo ciò che pensa Gesualdo Bufalino nel suo inarrivabile La luce e il lutto (di cui abbiamo già parlato qui, per altri versi), concentrato di poesia e sicilianità, istanze che quasi naturalmente finiscono per sovrapporsi. Perché la poesia stessa è un viaggio nella propria interiorità, un percorso accidentato e imprevedibile, un azzardo contro la sorte. Non è forse questa la dinamica autentica del viaggio che, secondo il nostro autore, può accadere nella sua compiutezza soltanto in Sicilia? Poesia, viaggio e Sicilia, dunque, in un triangolo adornato dal bagliore della bellezza e dall’inquietudine di un salto nel buio. Sì, perché anche lo spostarsi in luoghi che si ritiene di conoscere già porta con sé la sua salutare e affascinante dose di incertezza. E, come spesso accade, in Sicilia tutto questo sembra elevarsi a potenza.

Può ancora esistere un viaggio autentico? Se lo chiedeva, ben prima di noi, già Vincenzo Consolo, altra mente illuminata partorita dalla nostra terra. Dopo aver toccato l’apice con lo sbarco sulla Luna in quell’indimenticabile 21 luglio 1969, dopo aver accorciato drasticamente le distanze del mondo con spostamenti ultrarapidi, e dopo aver dato la possibilità a tutti, con gli smartphone di ultima generazione, di scattare migliaia di foto del luogo che si sceglie di visitare, cosa resta del senso originario del viaggiare? Cos’è che ancora può spingerci alla meraviglia della scoperta se tutto appare come un nostro comune e scontato possesso? A quanto pare, la rivelazione che non è affatto così. E se non ci credete, forestieri del mondo o siciliani che siate, provate ad immergervi tra le vie di questa terra, una terra, per citare ancora Consolo, in cui prodigiosamente «convergono tanti raggi della storia del mondo». Viaggiare, perciò, non è pretendere di imbrigliare e catturare l’anima di un luogo con una foto o una cartolina, ma reinterpretarla continuamente col nostro sentire, abbandonarsi ai suoi suoni e accettarne i misteri irrisolti: solo così si conserverà il fascino della visione e la sua iterazione. E anche qui ci viene in aiuto Consolo: «Se il viaggio compiuto sembra trascorrere come un fiume davanti agli occhi del viaggiatore, e la fantasia ne serba un’immagine di continuità ininterrotta, ciò malgrado non ci si può sottrarre alla sensazione che questa immagine sia, in fondo, incomunicabile». Del resto, per trasformare in parole queste sensazioni, «ci vorrebbe tutta una vita umana, anzi la vita di parecchi uomini, che man mano ci trasmettessero le loro conoscenze».

Ecco perché la Sicilia è la meta ideale per riscoprire il piacere e lo spavento originari del viaggio. Con la sua anima multiforme, sempre in divenire e sempre sfaccettata, ma anche immutabile e inevitabilmente sconosciuta a se stessa, la Sicilia continua a mostrare qualcosa di inafferrabile a prescindere dal numero di volte che la si è percorsa. Forse è l’alone di storia e mito, di una cultura che fu e che oggi si mostra a noi nei suoi magnifici resti; o forse si tratta di una disposizione spirituale dei siciliani stessi, sempre volti alla ricerca, a scavare nei meandri della loro terra per trovare qualcosa di nuovo e inaspettato, che trasmigra fino ai visitatori che con noi entrano in contatto. O forse, semplicemente, sulla scorta di Consolo e Bufalino, il viaggio autentico può ancora avvenire in Sicilia perché quest’isola sembra non avere confini spaziali e temporali, perché sembra inesauribilmente ricca di tutto ciò che si cerca, perché ogni sua descrizione è inevitabilmente più povera se non la si verifica di pissona pissonalmente. Quel luogo, perciò, così vero dove il dire non basta.

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