Ci risiamo. Il più classico dei tormentoni estivi ha colpito ancora. Anche quest’anno, attrespolato sul piedistallo eretto per l’occasione, il coro composto da intellettuali improvvisati e maestri zen dal palato fino ha voluto far sentire la propria armoniosa voce. Perché, diciamocelo, da qualche anno a questa parte, sparare a zero sulle tracce della prima prova dell’esame di maturità è diventato uno sport decisamente popolare. Una passerella di – effimera, almeno questo – popolarità in cui far sfoggio di una irriducibile eccentricità. E che importa se logica e buon senso vengono accantonate? Ciò che conta è dire. Esageratamente, impulsivamente, improbabilmente dire. A farne le spese, stavolta, dopo il caso Verga dello scorso anno e le recenti polemiche sollevate da Susanna Tamaro rispetto alla poetica dell’autore de I Malavoglia, è stato il buon Salvatore Quasimodo. “Puzza di vecchio e di stantio” ha tuonato qualcuno dall’alto della sua autorevolezza; “ancora lui? Ma possibile che non si riesca a scegliere autori più contemporanei?” si è domandato qualcun altro. E, ironia della sorte, c’è chi ha persino intravisto nella somministrazione agli studenti di una poesia dell’autore nativo di Modica un perfetto riflesso dell’indirizzo conservatore dell’attuale governo. Sì, avete letto bene: di Quasimodo, protagonista della Resistenza, iscritto al PCI dal 1945 e autore di liriche visceralmente ricolme di spirito antifascista, è stato detto pure questo. Per non parlare di chi, rincarando la dose, vi ha visto delle simpatie filo-russe per via di un presunto sottotesto di Alla nuova luna che rimanderebbe all’esaltazione del satellite Sputnik lanciato nel 1957 (sempre smentita, tra l’altro, dallo stesso Quasimodo). Sorge il dubbio, allora, che andare in controtendenza sia più una moda, un esercizio fine a sé stesso. Perché, se così non fosse, l’alternativa sarebbe ben peggiore. E alla possibilità che sia una profonda ignoranza a farsi portavoce di questo sentimento sarebbe meglio continuare a non credere.
Il partito dei “mai soddisfatti”, d’altro canto, nella storia ha sempre ottenuto ottimi risultati elettorali. Ancora rimbomba nella memoria l’indignazione che seguì alla scelta di proporre ai ragazzi, qualche anno fa, una poesia del contemporaneo Giorgio Caproni, che nella quasi totalità dei casi esula dal periodo storico che a scuola si riesce a raggiungere. Gli stessi, insomma, che alzavano le barricate per difendere il diritto degli studenti a cimentarsi con materie note, oggi levano gli scudi per affermare il presunto anacronismo di Quasimodo. Incoerenza? Certamente sì. Malafede? Chissà. Sta di fatto – e anche qui è necessario uno sforzo di immaginazione per convincersi che si tratti solo di una coincidenza – che ancora una volta ad essere messo alla gogna è stato uno scrittore siciliano. Alla nuova luna, compresa nella raccolta La terra impareggiabile (1958), non è certo l’esempio più fulgido della sua poesia. Ma basta questa considerazione viziata da una ineliminabile dose di soggettività a decretare l’inadeguatezza dell’operazione? E, soprattutto, a dare appiglio ad alcuni commentatori logorroici e scribacchini rancorosi di compromettere l’immagine e il ricordo di un intellettuale straordinario? Alla nuova luna, poi, al di là di ciò che è stato fatto passare, non è appena l’elogio cieco e inebriato dell’ingegno umano: quanto, piuttosto, l’ammirata sudditanza di chi ha percepito quanto grande e pericolosa sia la responsabilità che grava sulle spalle della scienza. Di chi ha intuito che sarà su quel terreno, sulle crescenti capacità di scimmiottare la Creazione, che si giocheranno i futuri equilibri di potere nel mondo. Una scelta, per certi versi, addirittura ardita, e certamente più attuale che mai, che richiama a sé il tema della guerra, della pace e dell’ambiente. Non è forse un modo onesto e produttivo per veicolare l’importanza di questi messaggi alle nuove generazioni?
Che poi, verrebbe ancora da domandarsi con assoluta innocenza: quali sarebbero, allora, gli autori meritevoli di considerazione? Se già un autore che ha continuato a scrivere fino alle porte degli anni ’70, cosa ne sarà degli altri ancora precedenti? Il vero pensiero controintuitivo non è scegliere di rifarsi ai versi di Quasimodo: è credere che ci sia poesia più degna e più presente di altra. È rifiutare la presunta fallacia di un presunto canone pretendendo non di affermare la libertà di leggere, ma di imporne semplicemente un altro. Ma la poesia, come la letteratura, è eterna. Sorvola leggera questo gomitolo di ripicche e di risentimenti. Sconfessa con la sola forza della sua anima questo miope presentismo. Allarga gli orizzonti di quest’epoca ingrata e ottusa. E restituisce al passato il suo ruolo di custode del futuro.