La recente presentazione del nuovo volume  della Federazione delle Aziende e degli Enti di gestione di cultura, turismo, sport e tempo libero incoraggia sull’andamento della fruizione culturale del Paese, ma spinge alla riflessione in merito a profondi divari territoriali e sociali. Di quali strategie necessita la nostra Regione?

Federculture ha presentato a Roma il 7 novembre scorso il suo XIII Rapporto Annuale, un articolato volume, intitolato “Impresa cultura. Gestione, innovazione, sostenibilità”, che illustra dati e opinioni sul mondo dei consumi e dei comportamenti culturali. Se a livello di media nazionale, lo studio racconta di un 2016 di evidente ripresa in termini di consumo, investimento e fruizione dei luoghi della cultura, a fronte del triennio precedente segnato dal crollo del 2013, può dirsi lo stesso della Sicilia? Ad una lettura appena un po’ più dettagliata emergono alcuni elementi che meritano un approfondimento. Sebbene molti dei dati riportati e analizzati da Federculture rappresentano anche la nostra isola, nessuna notizia altrettanto significativa è contenuta nei dati del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, vista la specificità che la nostra Regione, a Statuto Speciale, ha in merito di patrimonio culturale. Questo vuoto pesa in termini di valutazione, e costringe gli analisti a complicate operazioni di estrazione e comparazione di dati spesso disomogenei. Così, se sappiamo ad esempio che la spesa media mensile in ricreazione, spettacoli e cultura in Sicilia è di 67,74 euro (a fronte dei 130,06 euro media nazionale, e dei 208,62 euro del Trentino-Alto Adige), non possiamo facilmente leggere una comparazione tra i musei siciliani e quelli statali perché i primi non sono appunto statali e quindi sfuggono alle statistiche nazionali. Le due diverse misurazioni sono inoltre effettuate da enti differenti, mettendo a rischio la solidità di una eventuale comparazione tra i diversi dataset raccolti. In altri termini è difficile capire da un punto di vista quantitativo cosa succede in Sicilia rispetto al resto del Paese. E proprio a proposito di divari, dai dati prodotti da ISTAT e letti da Federculture emergono importanti differenze territoriali. Oltre alla già citata disparità tra la Sicilia e la media nazionale in termini di spesa in cultura, un altro campanello di allarme riguarda la partecipazione culturale.

NON SOLO QUESTIONE DI NUMERI. Fatta eccezione per la media di siciliani che nel 2016 sono andati a teatro (prossima a quella nazionale) i dati riportati da Federculture che riguardano la nostra isola (vedi grafico) non ci lasciano pensare solo ad un impoverimento culturale, che fino a qualche anno fa con un certo piglio aristocratico ci si affrettava a bollare come ignoranza diffusa: la situazione è ben più grave e pericolosa. Perché se come parametro di valutazione del fatto si assume la abbondante letteratura sul fenomeno della cosiddetta povertà educativa, per cui gli studi di Save the Children collocano la Sicilia al primo posto nazionale con circa il 30% dei minori coinvolti, ci rendiamo conto che quei parametri sono davvero allarmanti. Perché è ormai opinione assodata e condivisa che quando i nostri minori in età scolastica non sono in grado di comprendere il significato di un semplice testo scritto, di svolgere elementari operazioni matematiche, sono esclusi culturalmente perché non messi nelle condizioni di partecipare, e spesso vivono in contesti di povertà assoluta, ciò comporta automaticamente un futuro per questi minori di totale disarmo rispetto agli eventi che la vita riserverà loro quanto prima: perché se non sei stato messo nelle condizioni di afferrare il significato di una pagina di testo, o nessuno ti ha facilitato nel comprendere il mondo attraverso un museo o un brano musicale, è probabile che tu non sia in grado di valutare le condizioni di un contratto di lavoro, una lettera di sfratto, un giudizio scolastico dei tuoi figli, un documento sanitario, un programma politico. In altri termini la povertà educativa debilita l’uomo in quanto persona e in quanto cittadino. I dati che Federculture ci consegna non fanno che confermare questo pericoloso segnale delle regioni del sud Italia, Sicilia tra le prime.

INVESTIMENTI A VUOTO E CALO DEI CONSUMI. A maggior ragione colpisce che nel 2014 la Sicilia spiccasse in cima alla lista delle regioni italiane per “spesa delle Amministrazioni per la cultura”, con più di 451 milioni di euro, a fronte di un nono circa speso dalla Lombardia (fonte Copaff): un “primato” a cui, evidentemente, non sono seguiti adeguati risultati. Cosa non ha funzionato? Il sistema degli investimenti pubblici in cultura deve trovare in Sicilia nuovi parametri di valutazione dei suoi impatti, e quindi condizionare diversamente le strategie che li orientano? Se non bastasse il quadro appena delineato, dal punto di vista del mero business basti ricordare che lo stesso Rapporto evidenzia un calo della spesa dei viaggiatori stranieri in Sicilia tra il 2016 e il 2015 del -14,1%. Neanche il mecenatismo gode di buona salute, se si pensa che l’ArtBonus, il sistema di benefici fiscali per le elargizioni liberali al comparto culturale (beni materiali) raggiunge nelle isole appena lo 0,8%, mentre si attesta al 52% nel nord ovest, al 28% nel nord est e al 18% nel centro Italia.

L’INCLUSIONE SOCIALE CONTRO LA POVERTA’ EDUCATIVA. Allora, che fare? Secondo Federculture, è una priorità aumentare la partecipazione culturale dei cittadini e l’accesso diffuso ai beni e alle attività culturali: questa prospettiva strategica e democratica, unita ad un innovativo approccio “imprenditivo” della governance pubblica del settore culturale, riuscirebbe a garantire l’efficacia degli obiettivi sociali prefissati con l’efficienza di un sistema di gestione ancora farraginoso o addirittura in certi casi inefficiente, vocato allo spreco di risorse e controproducente. Forse si riuscirebbe a contribuire a ridurre la povertà educativa, ad aumentare l’inclusione sociale, a rafforzare i cittadini e le comunità, a creare ecosistemi sociali più solidi e coesi e quindi più accoglienti, verso chi viaggia per piacere e chi lo fa per necessità. Colpisce il dover accettare che, grazie all’autonomia regionale, la Sicilia può permettersi di ritenersi fuori da qualunque innovazione che il comparto dovesse decidere di affrontare. Ma la domanda è: siamo sicuri che a fronte delle pesanti sfide sociali che ci aspettano, la nostra Regione possa permettersi di ritenersi immune dalle inefficienze, libera dal dovere di rispondere a bisogni sociali diffusi e non più rinviabili, in nome di retoriche come la corsa al business turistico ormai screditate da una lettura più attenta dei dati? Probabilmente non è più il momento di continuare a rimestare l’esistente e rincorrere nuove chimere, ma fermarsi solo per un attimo a chiedersi quali bisogni le nostre comunità stiano esprimendo davvero, dalle periferie metropolitane alle aree interne, dagli istituti scolastici alle persone disabili, dagli esclusi economici ai nuovi cittadini, e cosa può fare per loro il nostro patrimonio culturale, le nostre imprese culturali (profit e non profit), le nostre istituzioni culturali. Grazie a Federculture abbiamo qualche dato in più su cui riflettere umilmente.

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