«La corruzione è qualcosa che ci entra dentro. È come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile e poi? Finiamo male! Facciamo una brutta fine! Con tanto zucchero facile finiamo diabetici e anche il nostro Paese diventa diabetico!». Così tuonava nel 2015 Papa Francesco rispondendo alla domanda di un giovane in quel di Nairobi, palesando quanto nocivo sia, in Italia, il ruolo giocato dalla capillare diffusione di queste pratiche illegali. Che intaccano non soltanto l’assetto civile e giudiziario dello Stato, ma anche il suo tessuto morale, di pertinenza della Chiesa. Proprio da questa duplice esigenza di porvi rimedio nasce Dialogo sulla corruzione. Giustizia e legalità impegno per il bene comune (Editoriale Scientifica, 2019), frutto dell’esperienza e delle proposte di due illustri interlocutori: uno, Claudio Sammartino, è attualmente prefetto della città di Catania, dopo aver svolto le sue mansioni in realtà complesse come quelle di Taranto e Reggio Calabria; l’altro, Mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale. Ma cos’hanno in comune un funzionario pubblico e un pastore di anime? E in che modo il loro operato contro il malaffare può incontrarsi sulla strada del bene comune?

AL SERVIZIO DEL PROSSIMO. La piaga della corruzione, del tentativo di ottenere illecitamente vantaggi a discapito della meritocrazia e della giustizia, deturpa l’immagine e il funzionamento di una comunità non solo esistendo in quanto tale, ma anche agganciandosi ad altri fenomeni collaterali, su tutti quello della criminalità organizzata, che approfitta della sua pervasività per svilupparvisi, utilizzando la definizione di Sammartino, come in un vero e proprio «brodo di coltura». Se la corruzione, dunque, non è un male estirpabile in isolamento rispetto alle sue diramazioni, ecco profilarsi all’orizzonte la necessità di un approccio più profondo ed organico sul tema. Alla luce di questa consapevolezza il prefetto e l’arcivescovo affidano alle pagine del libro la speranza che le istituzioni di cui si fanno portavoce riscoprano la dimensione del mettersi a servizio degli altri. Prima ancora che intervenire normativamente, infatti, sarebbe auspicabile – a parere degli autori – un investimento economico e umano su attività di prevenzione ed educazione. Una vicinanza necessaria – spesso mancata, per loro stessa ammissione – quella nei confronti dei cittadini: non solo perché così facendo aumentano la probabilità di sottrarli alle reti criminose delle mafie, ma anche per ricomporre quel legame fiduciario claudicante tra Stato e persone, ulteriore motivo di allontanamento dalla strada della legalità verso le più semplici scorciatoie della corruzione.

AZIONE CONGIUNTA… Stato e Chiesa, laicità e mondo religioso, dunque, non possono essere scissi nella loro azione. Non soltanto perché già numerosi, come ad un certo punto del suo intervento tiene a sottolineare Mons. Pennisi, risultano gli eventi e le manifestazioni in cui la collaborazione tra i due mondi ha dato esiti fruttuosi – basti pensare alle processioni in cui il percorso viene monitorato congiuntamente per evitare deplorevoli episodi di omaggio a boss mafiosi – ma anche perché entrambi hanno a cuore la persona in tutto il suo essere. Benché, allora, la pena giudiziaria non sia apparentabile a quella ecclesiastica, la cura normativa si riflette su quella spirituale e viceversa: non è forse dovere di chi intende vivere da buon cristiano rispettare le leggi ed impegnarsi affinché gli altri che con lui vengono in contatto facciano altrettanto? E, allo stesso modo, non è forse vero che un cittadino esente dalla macchia dell’illegalità vive con maggiore serenità e coerenza la propria fede?

…MA SENZA FORMALISMI. Basterà la riscoperta dell’altro come persona da servire ad arginare il dilagare della corruzione? Secondo alcuni, che invocano misure più estreme e mirate dal punto di vista giudiziario, o che si trincerano dietro un rigido legalismo, no. Ma i due autori del libro, ribaltando tali convinzioni, si discostano da un simile pensiero, aggiungendo un ulteriore elemento di riflessione. Nonostante sia imprescindibile continuare a mantenersi vigili con i provvedimenti legislativi, la questione non può essere ridotta ad un mero intervento burocratico, da «passacarte», come scrive Sammartino. Del resto, Tangentopoli lo ha dimostrato: fare piazza pulita non basta se non si scende alla radice. Perciò, il concetto di riscoperta della persona accoglie un’altra sfumatura di significato: non solo persone come cittadini, ma come funzionari stessi. Che sia un vescovo o un poliziotto, l’azione di chi combatte l’illegalità non può fermarsi ad un arresto o ad una scomunica. Essi stessi sono persone, chiamate a spogliarsi della propria neutralità, che può tramutarsi anche in disinteresse. Bisogna, piuttosto, scendere negli abissi, mescolarsi tra la gente, farla sentire considerata e ascoltata. Solo così i cittadini, in particolare i giovani, torneranno a guardare di buon occhio le istituzioni. Sarà quello il primo passo per sconfiggere la corruzione.


Locandina della presentazione

Il testo “Dialogo sulla corruzione. Giustizia e legalità impegno per il bene comune” è introdotto dal giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese e si snoda, nella prima parte, attraverso gli interventi del prefetto e dell’arcivescovo, che a partire dalla propria esperienza personale si interrogano sulle questioni scottanti legate al tema dell’illegalità e offrono prospettive per il futuro. La seconda parte, invece, vede gli autori rispondere alternativamente alle domande del giornalista Giuseppe Di Fazio, ex caporedattore del quotidiano “La Sicilia” e oggi presidente del comitato scientifico della Fondazione Domenico Sanfilippo editore. Il volume sarà presentato domani pomeriggio presso il Palazzo Arcivescovile di Monreale alla presenza degli autori e di illustri ospiti.

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