C’è una parola nella lingua danese che si utilizza per descrivere uno stato d’animo particolare: hygge è il senso di sicurezza e accoglienza di chi vive un luogo. Chi sposa questo concetto fa proprio uno spazio dove sentirsi libero di essere quotidianamente felice, lasciando andare la vita frenetica che lo circonda e concentrandosi sulle piccole cose che danno un senso di serenità.

Ho sentito subito mia questa parola nel momento in cui sono entrata nello spazio accogliente di Cummari, una struttura ricettiva nel cuore del quartiere di San Berillo per donne che, sfruttando le possibilità offerte dallo smart working, girano il mondo alla ricerca di nuove avventure e scoperte. Dietro questa idea, l’esperienza diretta di Michelle, globetrotter newyorkese, che insieme al marito Igor, archittetto catanese, ha deciso di costruire il suo futuro in Sicilia dopo anni di nomadismo digitale. «Le donne che ospitiamo – mi spiega Michelle – sono alla ricerca di un luogo in cui sentirsi ispirate ma soprattutto a proprio agio. Sono le stesse esigenze che a lungo io stessa mi sono portata dietro negli anni in cui mi trasferivo di frequente da un posto all’altro. Cercavo sempre un posto che mi facesse sentire al sicuro e fosse capace di tenere lontani preoccupazioni e disagi ma nel quale ci fosse anche spazio per la condivisione con gli altri. E così, se da un lato l’indirizzo della struttura viene comunicato solo al momento della prenotazione, dall’altro varcata la soglia di Cummari le ospiti condividono gli ambienti comuni nei quali rapidamente si sviluppano connessioni e amicizie». 

E se non tutte le ospiti rimangono per lunghi periodi, il fatto che molte di loro si siano sentite effettivamente a casa mi è stato subito chiaro esplorando la struttura insieme alla padrona di casa: una piccola stanza raccoglie i lavori di alcune artiste che hanno deciso di lasciare un ricordo tangibile del loro soggiorno; il salotto aperto a tutte le ospiti che hanno voglia di fare conoscenza o anche solo di uscire dalla propria stanza per lavorare in armonia, una cucina dove non manca mai la pasta, e la terrazza per godere del sole siciliano ogni volta che si vuole. Sparse per le stanze illustrazioni sulla storia dell’isola che non mancano di attirare gli sguardi incuriositi delle ospiti.

Mentre Michelle mi racconta la soddisfazione di essere riuscita a mettere su questo progetto, non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa l’abbia spinta a scegliere proprio Catania per realizzarlo. «La mia vita precedente era troppo veloce per essere sostenibile. Poi mi sono trasferita in Sicilia e ho scoperto un altro modo di vivere, come dite voi “piano piano”. Non esiste un altro posto come Catania, un’altra isola come la Sicilia. Mi sento connessa a questi luoghi, sento di appartenervi». 

Quasi una rivelazione, verrebbe da dire. Che ha finito per contagiare pure me. Mi è bastato sedermi per qualche ora in salotto, un caffè nelle mani e una piacevole chiacchierata con alcune delle ospiti per sentirmi parte di un mondo completamente diverso da quello a cui sono abituata a vivere. Questi due anni di pandemia che ci stiamo lasciando alle spalle hanno fatto emergere un nuovo modo di vedere il lavoro – quello da remoto – e di conseguenza di viverlo, non più come qualcosa di statico e opprimente, ma come un’opportunità per tornare a viaggiare, scoprire nuove dimensioni e farsi ispirare da ciò che si vede. «Vivere in luoghi sempre diversi, esplorare, aiuta la tua mente a sviluppare la propria creatività» mi raccontano Melody e Ronja, da Dusseldorf: «Siamo venute qui per una prova. Abbiamo avviato un’impresa che ci consente di lavorare da remoto e stiamo valutando se vivere più stabilmente in un luogo bello come questo sia effettivamente possibile anche a lungo termine». Perché, come insegnano i danesi, il primo passo è aprire la mente e lasciare che le novità ci ispirino.

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